Il Governo Monti e la “strana maggioranza”: un anno di scontri ed incontri

Pubblicato il 23 Febbraio 2013 alle 19:24 Autore: Giuseppe Colasanto

Pensioni

Il tema della previdenza è stato affrontato sin dal decreto Salva Italia, il primo biglietto da visita mostrato dal Governo Monti, ritenuto urgente sia per far cassa, sia per dare un segnale chiaro all’Unione Europea ed ai mercati finanziari sulla determinazione del nuovo Governo ad onorare gli impegni presi in sede comunitaria. Per ragioni di equità ed imparzialità, è stato quindi trattato insieme ad altri temi, quali ad esempio le liberalizzazioni e l’imposta sui patrimoni immobiliari.

E’ stato chiaro per tutti sin dall’inizio che sulle pensioni ci sarebbe stata una stretta, che avrebbe portato ad un innalzamento dell’età pensionabile ed un probabile passaggio al sistema contributivo (introdotto nel 1995 dalla riforma Dini, meno generoso rispetto al sistema retributivo).

Una proposta di Pd, Pdl e Udc proponeva un sistema basato su incentivi e disincentivi, che innestandosi sul sistema pensionistico in vigore, avrebbe dovuto rendere flessibile l’uscita dal lavoro tra i 62 ed i 69 anni, mentre opinioni divergenti nascevano sulle pensioni di anzianità, definite dal Presidente della Commissione Bilancio della Camera, Giuliano Cazzola (PdL), il “vero buco del sistema”. Da una parte, infatti, Pdl e Confindustria chiedevano di andare avanti sulla strada dell’abolizione delle pensioni di anzianità, dall’altra Cgil e parte del Pd si dimostravano intransigenti a non superare la soglia dei 40 anni per poterne godere (“40 numero intoccabile” secondo la Camusso). UdC e Cisl invece interessati a trattare e comunque a non mettere i bastoni tra le ruote del neonato Governo Monti.

Una volta presentata la riforma – e fatti i conti con l’urgenza di approvare il testo complessivo – il tema è diventato come rendere meno traumatici alcuni passaggi: innanzitutto, sulla necessità sentita da tutta la maggioranza di adeguare anche le pensioni fino a 1400 euro all’inflazione, cosa che all’inizio non era prevista e che anche per le pensioni più basse sarebbe valsa solo in parte. In questo caso la stessa ministro Fornero si è dimostrata disponibile, in quanto la richiesta non riguardava un elemento strutturale della riforma, ma solo un elemento inserito per reperire risorse.

In secondo luogo, la necessità di aprire conti correnti su cui versare le pensioni, sul quale si è curiosamente battuta l’IdV, malgrado la norma fosse inerente alla lotta all’evasione. Per i dipietristi, infatti, si sarebbe trattato di un aiuto alle banche e per questo la loro richiesta era di abolire i costi dei conti corrente aperti da pensionati.

In terzo luogo, la questione delle pensioni di anzianità. Stante la decisione del Governo di abolirle, e di alzare i requisiti per la pensione “anticipata” (termine volutamente negativo, che in sé presume meccanismi di penalizzazione),  si è invece evoluta in una discussione su come evitare di penalizzare i lavoratori precoci, solitamente impegnati in lavori manuali ed usuranti, pensando per loro a diminuire le penalità per l’uscita anticipata o ad attuare la riforma Fornero solo dal 2017, e su questo le pressioni maggiori sono venute dal Pd. La decisione presa col decreto milleproroghe è stata comunque quella di “salvare” quelli che avrebbero avuto i requisiti nel 2017.

Infine, la questione esodati, coloro i quali accettando accordi con le proprie aziende hanno anzitempo lasciato il proprio posto di lavoro, confidando in un rapido raggiungimento dei requisiti per la pensione. A seguito dell’innalzamento di tali requisiti, queste persone si sarebbero ritrovate senza lavoro né pensione. In fase di approvazione del Decreto, i partiti hanno fatto notare il problema venutosi a creare, ma invece di risolverlo immediatamente, hanno elaborato un odg bipartisan che impegnava il governo a risolverlo in un secondo momento, attraverso il “milleproroghe”.  Ulteriore complicazione, la stima della numerosità della platea degli esodati: le prime stime elaborate dall’Inps (65000 unità) sono state fortemente contestate dai sindacati e dagli stessi partiti, ma è su questi numeri che ha lavorato inizialmente il Ministero, affidando all’Inps il compito di stabilire la quantità certa dei lavoratori coinvolti. Ad aprile, le stime dell’Inps erano di circa 130mila unità, contestate tanto dal governo (che ribadiva le 65mila unità di “salvaguardati”), quanto dai sindacati confederali, che parlavano di 350mila unità coinvolte.

L’11 giugno scorso l’Inps ha reso pubblica la nota di dettaglio su tutta la platea degli esodati:390mila lavoratori, superiori anche alle stime dei sindacati: il ministro Fornero ha “rimproverato” la dirigenza dell’Istituto, ma è stata poi “costretta” a riferire in Parlamento, ed ammettere l’errore di valutazione. Ciò ha poi portato alla ricerca di una soluzione per altri 75000 lavoratori (in tre distinti interventi), ma anche a dover sostenere una mozione di sfiducia individuale promossa da Idv e Lega: la mozione non è passata, ma in molti nel Pdl (Berlusconi, La Russa e Verdini in primis) hanno disertato l’Aula per marcare le distanze.

Su questo tema, sono evidenti tanto la pressione dei partiti e delle forze sociali, quanto il nervosismo del Governo alle prese con stime fatte male e conti da far quadrare: rimangono nella memoria la gaffe di Polillo, che in un’intervista affermò che gli accordi tra lavoratore e azienda potevano ritenersi nulli (salvo fare dietrofront dopo il rimbrotto del ministro Fornero), ma anche la diatriba tra il ministro e le imprese, accusate di essere “coloro che hanno creato la questione esodati”.

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L'autore: Giuseppe Colasanto