Perché Bersani ha non vinto

Pubblicato il 26 Febbraio 2013 alle 09:15 Autore: Carlandrea Poli

Sul primo punto basta rifarsi alle parole pronunciate dal nostro il giorno in cui Angelino Alfano tolse ufficialmente la fiducia al governo Monti, provocando le elezioni anticipate. Quelle parole scandite a distanza di circa due mesi e mezzo hanno il suono di una dichiarazione programmatica: “A voi i cieli azzurri, le favole. A noi la realtà”. Abbiamo capito presto a cosa si riferisse. Le capacità di narrare si sono limitate a metafore inintellegibili ai più (tradendo peraltro la funzione emozionante della metafora, altro capolavoro) e una fuga all’indietro ben codificata dalla pompa di benzina di Bettola, la Panda rossa ecc, mentre il marketing politico è stato delegato per intero a Berlusconi (che ha sfruttato appieno la sua natura underdog). Riprendere Bettola ci consente di arrivare al 2° punto, l’errore di target, che all’inizio fu una giusta intuizione: la vittoria alle primarie arrivò anche grazie al racconto di un’umile storia popolare (quella del figlio di un meccanico) e di una dimensione operaia-piccolo artigiana con posizioni socialdemocratiche classiche. Ottimo per fare il pieno fra le truppe piddi. Peccato che in Italia il suo esercito, quello progressista erede della sinistra Dc e dell’ex Pci, sia cronicamente minoritario. E – una volta vinte le primarie – non sapere adattare il proprio messaggio al vasto elettorato in fuga dal centrodestra non è stata una grande trovata per costruire una vittoria. Il nostro, però, ci ha fatto dubitare una volta di più delle sue capacità di leadership con quella che doveva essere un rimedio molto rudimentale: coinvolgere il candidato sconfitto alle primarie, Matteo Renzi in degli scampoli di propaganda nelle regioni in bilico per il Senato, quando il calo del Partito Democratico nei sondaggi iniziava a farsi marcato, confidando di recuperare quei milioni di italiani (potenzialmente) ex berlusconiani, calamitati dalla figura del sindaco di FirenzeTroppo poco e troppo furbo. Nessuna proprietà transitiva poteva garantire che i voti raccolti personalmente dal giovane rottamatore finissero in blocco all’anziano segretario.

Tuttavia, quel poco di attivo che ha potuto portare il rottamatore in termini di speranza di un change fatto di riforme e di stabilità di governo nell’Italia Giusta, è stato dilapidato nelle esternazioni quotidiane sulle alleanza post-elettorali: l’ombelico del Pd è finito per diventare il dibattito Monti sì, Monti no; Ingroia sì, Ingroia no. Gli italiani da nord a sud hanno cominciato a dubitare della capacità di Bersani di vincere nettamente e di attuare un programma di riforme una volta a palazzo Chigi. L’elettorato si è attrezzato di conseguenza muovendosi verso la protesta di Grillo e facendo ricorso al suo bene rifugio: il voto identitario, quello per sub-culture. Sul tema è consigliabile la lettura di Ilvo Diamanti “Gramsci, Manzoni e mia suocera” che risponde ad un quesito cruciale: perché la Lega Nord o il Pdl portano a casa ancora milioni di voti a fronte di fallimenti sul federalismo promesso dall’una e sulla rivoluzione liberale sbandierata dal 1994 al 2008 dal secondo? La risposta suggerita è che si comportano come sindacati: uno li sceglie per portare a Roma delle istanze, per quanto irrealizzabili. Ovviamente questo schema si configura finché una forza di alternativa non proponga un programma solido di cambiamento. Bersani non l’ha offerto e il suo elettorato si è ridotto alla sub-cultura rossa. (L’errore di target si può attribuire a parti inverse pure a Renzi, giusto per confutare l’aura di uomo dell’uomo dal sicuro successo comunicativo, che aveva puntato al voto dei moderati alle primarie quando c’era da fare incetta dei voti di sinistra più tradizionale).

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L'autore: Carlandrea Poli

Nato a Prato il 27/06/1987 giornalista pubblicista, ha cominciato a collaborare con alcune testate locali della sua città per poi approdare al Tirreno. Appassionato delle molte sfaccettature della politica, ha una predilezione per la comunicazione, l'economia e il diritto. Adora il neomonetarismo, l'antiautoritarismo della scuola di Francoforte e prova a intonare nel tempo libero con scarso successo le canzoni di Elisa Toffoli. Su Twitter è @CarlandreaAdam
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