I Paesi scandinavi tra sondaggi e riforme economiche
A Oslo sono cominciati i lavori per l’approvazione del bilancio annuale. Le prospettive economiche del paese sono buone, l’anno delle vere sfide potrebbe essere il 2014. Intanto in questa settimana è andata in scena un’altra puntata dello scontro tra il Partito del Progresso (seconda forza conservatrice del paese) e il governo. Siv Jensen, leader del Partito del Progresso, ha attaccato duramente l’esecutivo: la Norvegia ha perso otto anni per colpa della coalizione rossoverde e ora c’è bisogno di cambiamento, c’è bisogno di idee nuove, c’è bisogno di meno burocrazia, c’è bisogno di abbassare le tasse. La risposta dei laburisti non s’è fatta attendere: “Viviamo nello stesso paese, Siv?” ha domandato con ironia Raymond Johansen, segretario del partito socialdemocratico, che ha ricordato come la Norvegia abbia la più bassa disoccupazione in Europa e possa vantare tassi di crescita superiori alla media.
Ma da Siv Jensen non sono arrivate solo critiche al governo. Tutti gli elettori che si riconoscono nelle politiche del Partito del Progresso, ha detto, sappiano che alle urne dovranno votare non Destra ma Partito del Progresso. Sembra una frase scontata e invece non lo è. In Norvegia lo scontro elettorale si gioca tra i due grandi schieramenti ma anche all’interno del blocco conservatore, dove Partito del Progresso e Destra sono a caccia di voti per definire i futuri rapporti di forza. Secondo gli ultimi sondaggi, la Destra è al 32% mentre il Partito del Progresso è in grossa rimonta e si piazza al 20,8%. Fossero questi i numeri, da soli i due partiti avrebbero la maggioranza parlamentare.
A Stoccolma il voto è più lontano ma l’attuale maggioranza di centrodestra deve fare qualcosa se vuole avere chance di vittoria. I sondaggi dei giorni scorsi sottolineano una flessione per la coalizione di governo, scesa al 39,6% e dunque sotto la soglia psicologica del 40%. Non accadeva dal 2008. Il blocco rosso-verde attualmente all’opposizione raccoglierebbe il 48% dei voti. La forbice si allarga.
E per un governo che oggi verrebbe sconfitto, un altro la sconfitta l’ha assaporata proprio in questi giorni. Le elezioni svoltesi a inizio settimana in Groenlandia hanno decretato la fine del governo del premier Kuupik Kleist. Il suo partito s’è fermato al 34,4%. Più su sono andati i socialdemocratici che hanno raccolto il 42,8%: quattro anni fa il risultato era stato di poco superiore al 26%. Il partito ottiene così 14 seggi parlamentari su 31. Toccherà ora alla leader Aleqa Hammond avviare i colloqui per la formazione di un governo. Ed è quasi certo che, per la prima volta nella storia della Groenlandia, il premier sarà una donna.