Reset PD (Parte II)
La sfida era complessa al momento della nascita del partito e sicuramente è ancora più complessa ora, in un clima di disillusione e sfiducia in cui sono molti ormai a ritenere più coerente e politicamente premiante ritornare ad una struttura a due partiti separati. È difficile dire quale possa essere la soluzione giusta – o anche solo la soluzione vincente in termini elettorali – ma ciò che è indubbio che lo status quo è semplicemente inaccettabile.
L’incapacità di formulare un progetto politico preciso e soprattutto condiviso tra tutte le varie anime del partito ha bloccato l’azione del Partito Democratico. Mascherando la propria impotenza per senso di responsabilità, il PD ha di volta in volta riversato su terzi – Monti, l’Europa, il Presidente Napolitano, le maggioranze risicate in Parlamento – una incapacità cronica di fare sintesi su un qualsivoglia tema, limitandosi ad una mera presenza parlamentare di bandiera, all’occupazione del potere piuttosto che all’esercizio del potere.
Non cessa di sorprendere a questo proposito la radicale differenza tra l’operato parlamentare e quello locale, dove invece le amministrazioni di centrosinistra brillano per efficacia.
L’inazione politica e la fuga dalle responsabilità di governo ha tuttavia avuto effetti ancora più nefasti, provocando un appiattimento del PD verso posizioni progressivamente sempre più estranee a tutte le anime del partito, fino ad appiattirlo letteralmente sulla destra berlusconiana.
Un appiattiamento che non significa (solo) seguire Berlusconi su strade sempre più di destra che hanno portato a considerare progressivamente accettabile ciò che fino a pochi anni prima magari sarebbe stato anche solo improponibile, ma anche laddove il PD mantiene posizioni distinte da quelle di Berlusconi, ha sempre lasciato al Cavaliere il compito di dettare l’agenda politica, limitandosi ad un gioco puramente di rimessa alla lunga perdente. Il PD è un partito mai nato perché non ha mai fatto politica, e le cause di questo sono da ricercarsi nell’incapacità di portare a termine quel progetto di sintesi delle culture di provenienza.
Solo sciogliendo questo nodo e sviluppando un proprio programma autonomo – quale che sia: socialdemocratico, liberista, comunista, laico, cattolico – il PD inizierà ad essere veramente un soggetto politico; in caso contrario resterà, secondo una felice espressione di Bersani nel suo discorso di dimissioni, solo uno spazio politico.
La questione è solo generazionale?
La protervia con cui una certa dirigenza si è mantenuta al potere al di là delle proprie capacità politiche e della semplice logica anagrafica ha impedito di dare una risposta chiara a questa domanda. I nativi del PD, coloro che si sono affacciati alla politica con l’esperienza dei democratici o che comunque non hanno mai fatto espressamente riferimento alle ideologie precedenti, sarebbero stati in grado di trovare quella sintesi sfuggita all’attuale dirigenza del partito?
(Per continuare la lettura cliccate su “3”)