Marino, l’esame comincia ora

Pubblicato il 15 Giugno 2013 alle 18:57 Autore: Gabriele Maestri

Una settimana scarsa. Tanto tempo è passato dall’apertura delle urne a Roma per il ballottaggio dal quale è uscito come sindaco Ignazio Marino. Un risultato netto, ammesso dallo stesso Gianni Alemanno durante lo scrutinio. Eppure qualche dato merita di essere analizzato più a fondo, posto che ognuno resta libero di trarre le conclusioni che crede.

Ignazio Marino

Ignazio Marino

Volenti o nolenti, bisogna partire dal dato più eclatante, quello del non-voto, che ha raggiunto livelli davvero impressionanti, quasi imbarazzanti da certi punti di vista. Se il 47,2% degli elettori ha scelto di disertare le urne al primo turno e, addirittura, al ballottaggio ha fatto lo stesso il 55% degli aventi diritto, i sintomi sono davvero pesanti e parlano di un male acuto per la sua gravità, ma ormai cronico per durata ed estensione: se persino per l’elezione del livello di governo più vicino ai cittadini – sia pure in una realtà grande e complessa come Roma – una persona su due non decide (o, se si preferisce, sceglie di non decidere) i segni della mancanza di fiducia in ogni spazio di cambiamento o buona amministrazione sono impossibili da non vedere e vanno ben oltre eventuali considerazioni sulla statura dei singoli candidati in gioco.

Ciò premesso, è vero che – come da più parti si è ricordato nei giorni scorsi – «quando va a votare poco più del 40% degli elettori non si vince». La matematica non mente, per Ignazio Marino al secondo turno ha votato il 28,2% dei romani, poco più di un quarto: è vero che chi sceglie di non far pesare il proprio voto lo fa consapevolmente, ma la percentuale resta piuttosto bassina e il nuovo sindaco di Roma certamente ne dovrà tenere conto, se vorrà cercare di rappresentare anche solo metà dei cittadini, quasi raddoppiando il numero delle persone che in definitiva l’hanno scelto. Per farlo non basterà certo andare al lavoro in bici (e rischiare ogni volta, pure lodevolmente, di essere arrotati): Marino dovrà sentire tante voci e, soprattutto, trovare il modo di riconoscere quelle meritevoli e dare loro attenzione, nei limiti di quanto il buon senso e le casse comunali consentono.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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