Marino, l’esame comincia ora

Pubblicato il 15 Giugno 2013 alle 18:57 Autore: Gabriele Maestri

Gianni Alemanno

Gianni Alemanno

In ogni caso, se Marino al più non ha (stra)vinto, certamente ha perso Alemanno e, con lui, l’intero centrodestra romano, anche se il copione si è ripetuto uguale in tutta l’Italia, come il “cappotto” ai ballottaggi della settimana scorsa ha dimostrato. È stato lo stesso primo cittadino uscente a dire di non essere riuscito «a costruire un ponte stabile con la cittadinanza tale da superare ogni oscillazione: Un sindaco uscente poteva e doveva trovare un meccanismo di partecipazione e coinvolgimento ulteriore e noi evidentemente non ci siamo riusciti». Se al secondo turno Marino ha guadagnato oltre 151mila voti, Alemanno è avanzato solo di 10mila consensi: secondo un sondaggio Swg, il ballottaggio avrebbe portato al voto per il candidato del centrosinistra uno su due degli elettori di Marchini e quasi un terzo di chi al primo turno aveva scelto Marcello De Vito (M5S); gli elettori recuperati dal candidato del centrodestra, invece, sarebbero state molto più basse (meno di un quarto di quelle mobilitate da Marino), a quanto pare nemmeno sufficienti per compensare gli elettori che hanno sostenuto Alemanno solo al primo turno e che quindici giorni dopo hanno disertato i seggi. È soprattutto quest’ultimo punto a richiedere riflessioni su quali forze – al di là del gradimento o dell’impopolarità del singolo – i partiti siano effettivamente in grado di mobilitare: è probabile che qualcosa nel centrodestra romano sia andato storto e qualcuno dei dirigenti altrettanto probabilmente vive ore inquiete.

In questo ballottaggio – era cosa nota – i romani hanno dovuto scegliere tra due persone che non erano native della città: è probabile che più di qualcuno abbia sorriso sentendo un genovese come Ignazio Marino urlare «Dajeeeeee!» alla chiusura della sua campagna elettorale, eppure i cittadini di Roma hanno preferito lui a un barese (pure se romano di adozione) come Gianni Alemanno, che non avevano voluto come sindaco nel 2006 e cui invece avevano dato fiducia solo due anni dopo contro un potenziale terzo mandato di Francesco Rutelli (che pure era davanti al primo turno). Per Marino questo può essere un punto di forza, ma anche un nervo scoperto: dovrà dimostrare “sul campo” di meritare il credito ricevuto, dalla gestione del traffico alle politiche sociali, fino alle risposte all’inciviltà che troppo spesso infesta la Capitale (chi non ci abita faccia un giretto sulla pagina Fb di «Roma fa schifo» per averne prova). Con la certezza che d’ora in avanti sarà giudicato su questo, non su altro.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
Tutti gli articoli di Gabriele Maestri →