Il nuovo obiettivo di Umberto Bossi: distruggere la Lega

Pubblicato il 17 Giugno 2013 alle 18:13 Autore: Livio Ricciardelli

Il dibattito all’interno della Lega Nord è apparentemente surreale. Ma forse solo “apparentemente”.

Umberto Bossi infatti negli ultimi tempi sta riservando copiosi strali nei confronti del Carroccio, ormai sempre più sua ex creatura politica.

Una critica feroce all’operato di Roberto Maroni era arrivata all’indomani della vittoria del centrodestra alle elezioni regionali lombarde. Il Senatùr infatti contestava a Maroni di non essersi dimesso da segretario della Lega nonostante la sua vittoria alla presidenza della regione (e di conseguenza nonostante i suoi doppi incarichi). Dopo la decisione del consiglio federale leghista di rinviare l’assise congressuale all’anno prossimo, Umberto Bossi questa volta ha scelto un’intervista al quotidiano “La Repubblica” per criticare quello che appare sempre più come un suo ex amico.

Nell’intervista rilasciata a Gad Lerner non ha escluso la possibilità di candidarsi alla segreteria della Lega dopo le dimissioni dell’anno scorso. Al tempo stesso ha riservato parole ben poco lusinghiere nei confronti di Roberto Maroni. Maroni che, questa volta ai microfoni di SkyTg24, si è detto amareggiato per l’intervista e del tutto in disaccordo coi suoi contenuti. Attaccando tra l’altro, lasciatemelo dire, in maniera del tutto fuori luogo la scelta di Bossi di concedere le sue opinioni a Lerner (che invece agli inizi degli anni ’90 ebbe il merito non da poco di accendere i riflettori sul tema della questione settentrionale e sulle rivendicazioni leghiste).

L’ultimo atto della querelle in casa Lega si è consumato ieri quando Bossi ha sorprendentemente disertato una riunione di tutti gli eletti del Carroccio (ricordiamo che Bossi è ancora deputato) a Milano. Notando l’assenza Maroni si è detto disposto a diventare “più cattivo” mentre altri leghisti hanno addirittura ventilato l’ipotesi di espellere Bossi dal movimento.

La defezione di ieri del fondatore della Lega Nord effettivamente sembra assumere le caratteristiche di un “atto gratuito”, quasi a volere complicare ulteriormente la posizione di Bossi.

In realtà potrebbe essere anche una mossa deliberata e finalizzata a complicare la vita ad un movimento che, sotto la gestione Maroni, sta registrando una fase molto complicata.

Il gruppo dirigente leghista ha infatti del tutto sottovalutato la portata degli eventi dell’anno scorso e forse considerato del tutto naturale e fisiologico il passaggio di consegne tra Bossi e Maroni. In realtà la questione non è così semplice ed automatica. E i motivi risiedono nelle complesse radici che videro nascere il fenomeno della Lega Nord.

Il capolavoro politico di Umberto Bossi infatti, correva l’anno 1989, non è stato tanto quello di creare la mitologia di una presunta patria padana dalla dubbia esistenza. Ma quella di, attraverso la sua Lega Lombarda, porsi come garante di un patto tra lombardi e veneti. Veneti che sarebbero molto più legittimati (per motivi, culturali, linguistici e anche economici) a rivendicare maggiori forme di autonomia dal governo centrale. E di conseguenza anche a rivendicare una forma di leadership del movimento autonomista. La visione artefatta e del tutto artificiale dell’autonomismo lombardo capitanata da Bossi è stata in grado di garantire anche le istanze venetiste che hanno una subcultura e una tradizione che risalgono addirittura dalla Repubblica di Venezia.

Con la fine della segreteria Bossi, nell’aprile 2012, non era scontato che qualsiasi altro leader della Lega Nord avrebbe svolto un ruolo di garanzia di questo tipo. Un’avvisaglia di ciò è facilmente riscontrabile dai congressi “nazionali” della Lega Lombarda e della Liga Veneta sempre nello stesso anno: di fronte ad un Matteo Salvini che a mani basse, con oltre il 90% dei consensi, è in grado di porsi come leader della Lega Lombarda il veronese Flavio Tosi si è trovato in una situazione di contendibilità maggiore, contro Massimo Bitonci, per quanto riguarda la leadership del movimento venetista. Proprio perché Flavio Tosi ha commesso l’ingenuità di appiattarsi troppo su Maroni in una fase storico-politica in cui non era scontato che lo stesso Maroni potesse svolgere quel ruolo di garanzia tipico della figura bossiana.

La disfatta di Giancarlo Gentilini a Treviso può essere letta anche come una ridiscussione, da parte dell’elettorato veneto, del suo rapporto con la Lega Nord. Ed è interessante notare come la vittima di questa ridiscussione, il “sindaco-sceriffo” di Treviso, per certi versi incarni l’elettore tipo (conservatore, elettore della Dc nella prima Repubblica ma capace di candidarsi con la Lega Nord senza particolari istanze separatiste né tantomeno ideologiche) capace di spingere la regione Veneto a diventare da regione a “subcultura bianca” (per citare Diamanti) a “subcultura verde”.

Tosi sta pagando questo appiattimento totale sulla linea Maroni mentre l’unico veneto in grado di aver compreso le contraddizioni di questo percorso sembra essere il governatore Luca Zaia. Non a caso quanto mai scettico nei confronti di un repulisti totale nei confronti dei bossiani e di un’ipotetica cacciata di quello che fino a qualche mese fa appariva ancora come il padre-padrone del movimento leghista.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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