Cristo si è fermato a Rimini

Pubblicato il 22 Agosto 2013 alle 19:17 Autore: Gabriele Maestri

Piccolo particolare: passato un mese scarso da quel novembre 1994, Berlusconi salì al Quirinale per dimettersi da Presidente del Consiglio, dopo il “ribaltone” attuato dalla Lega Nord.

Quella frase, insomma, non gli portò bene. Sarà forse per questo che, in seguito, ha cercato di rinnegarla più volte, quasi a voler allontanare quel momento piuttosto triste.

Un’altra ora grave sarebbe arrivata in seguito con un nuovo”tradimento”, quando alcuni parlamentari eletti con il centrodestra (Mastella e Buttiglione compresi) permisero a Massimo D’Alema di far nascere il suo primo governo varando l’Udr con Francesco Cossiga. Quella volta, però, Berlusconi scomodò il Figlio di Dio in persona: «Anche Gesù ebbe tra i suoi apostoli un traditore – disse – e noi non siamo più bravi di Gesù…».

La seconda persona della Trinità fu invocata dal Cavaliere in altre occasioni. A febbraio del 2006, per dire, in piena campagna elettorale disse a Matrix di essere secondo solo a Napoleone quanto a riforme fatte, poi davanti a una platea di imprenditori ad Ancona, pensò di correggere il tiro. «Su Napoleone ovviamente scherzavo: io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, sopporto tutto, mi sacrifico per tutti».

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Qualcuno apprezzò la battuta, molto meno un certo gruppo di cattolici progressisti, indignati anche perché nessun’autorità ecclesiastica protestò per il paragone per lo meno azzardato. Da Cl, ovviamente, niente ramanzina, ma Berlusconi perse ugualmente le elezioni.

E, visto che siamo tornati agli eredi di don Giussani, si diceva di Alfano. Oggi, dal palco del Meeting, ha ricordato come il suo primo atto da guardasigilli sia stato la visita a un carcere, durante la quale parlò con il cappellano: “Lui mi disse di guardare gli occhi dei detenuti perché vi avrei trovato gli occhi di Cristo. L’esempio di Cristo evidenzia l’esigenza del giusto processo e i limiti della giustizia popolare, delle giurie popolari“.

Immagine bella, toccante, pur se non originale (Gustavo Zagrebelsky aveva già scritto da tempo Il “crucifige” e la democrazia). Chiaro che qualcuno abbia pensato subito al processo a Berlusconi, con tutto ciò che ne viene. Forse Alfano però dimentica che, stando alle dichiarazioni degli esponenti del Pdl, i dieci milioni di voti ottenuti dal Cavaliere sono frutto della più grande giuria popolare che il paese possa immaginare: anche quella, a questo punto, ha dei limiti e può sbagliare. Persino quando vota Berlusconi.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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