Quale riforma elettorale?

Pubblicato il 8 Ottobre 2013 alle 17:28 Autore: Andrea Enrici

La riforma elettorale

La riforma della legge elettorale è stata inserita nell’agenda politica già dal 2006, pochi mesi dopo l’approvazione con voto favorevole di Forza Italia (Berlusconi, Alfano, Quagliariello), Lega Nord (Bossi, Calderoli, Maroni), Alleanza Nazionale (Fini, La Russa, Gasparri) e Udc (Casini, Cesa, Follini).

Tutti si sono espressi contro il Porcellum muovendo varie critiche: le liste bloccate privano i cittadini della facoltà di scegliere i propri rappresentanti, il particolare sistema di premi non garantisce maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento, l’attribuzione del premio di “governabilità” alla prima coalizione snatura la democraticità della competizione elettorale.

Nonostante la puntualità di tutte le critiche, la classe politica temporeggia e, coerentemente, si prepara a fare scelte ancora sbagliate. Infatti, mentre anche i liceali sanno che la democrazia si fonda sulla rigida separazione dei poteri (Esecutivo, Legislativo e Giudiziario), il legislatore, con la legge sulla “Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale” (l. 81/1995) e con le “Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario” (l. 43/1995), ha già istituzionalizzato la subordinazione dell’organo legislativo all’esecutivo.

camere camera

Sarebbe dunque opportuno intervenire sul complesso delle norme elettorali, introducendo un unico modello e ripristinando il giusto confine tra legislativo ed esecutivo: basta guardare alle norme in vigore nel resto d’Europa. Esistono quattro modelli classici cui ispirarsi per individuare la soluzione più adatta al contesto socio-politico italiano: il maggioritario di collegio “secco” britannico, “a doppio turno” francese, il proporzionale tedesco o quello spagnolo.

Al contrario, mentre Renzi sponsorizza l’elezione diretta del “Sindaco d’Italia” (ma che risultati ha dato l’elezione diretta del premier adottata e abolita in Israele negli Anni Novanta?), le Commissioni parlamentari si preparano a discutere di ibridi bizantinismi (come la proposta di Scelta Civica) che vogliono “introdurre un sistema elettorale misto” in cui “la metà dei seggi viene assegnata con formula proporzionale, l’altra metà con formula maggioritaria all’interno di collegi uninominali” prevedendo poi che si attribuisca “un premio di governabilità per la coalizione che supera il 42% del totale dei voti validi espressi in tutto il Paese” e che, “se nessuno raggiunge questa soglia, si proceda ad un secondo turno a cui partecipano le due coalizioni che hanno ottenuto al primo turno il maggior numero di seggi parlamentari”. Questa, però, non sarà la strada giusta.

La classe politica deve mostrarsi, per una volta, all’altezza e deve essere capace di prendere una decisione finalmente seria. Solo l’immediatezza e la semplicità del sistema elettorale, infatti, possono restituire, in concreto, potere ai cittadini e autorevolezza alle Istituzioni rappresentative.

L'autore: Andrea Enrici

Classe 1987, lombardo di nascita e milanese per scelta, ha una maturità classica e una laurea a pieni voti in giurisprudenza, presa tra Pavia, Glasgow e San Francisco. È stato consulente legale per l'ONU, ora è impiegato nella Pubblica Amministrazione. Ha iniziato a interessarsi di politica, per gioco, nei primi Anni Novanta, con le vignette di Forattini: presto ha smesso di seguire Forattini ma con la politica non ce l'ha fatta. Viaggia, legge, va a teatro e tifa Inter
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