La partenza di Cuperlo: “Siamo la parte giusta della società”

Pubblicato il 18 Ottobre 2013 alle 18:59 Autore: Gabriele Maestri

La partenza di Cuperlo: “Siamo la parte giusta della società”

Parte da Roma, e più esattamente dalla città dell’Altra Economia, la corsa di Gianni Cuperlo verso la segreteria del Pd. Un luogo non casuale, quello, come spiega con la citazione dal film WallStreet, in cui il personaggio di Michael Douglas Gordon Gekko sostiene che l’avidità sia la chiave del successo. “Un’altra economia può esserci. Economia è la vita delle persone, sono i diritti, la libertà e la vita delle persone. Vorrei poter raccontare questa storia e dire a voi che vent’anni fa Gordon Gekko si sbagliava”. 

Chiama in causa (sorprendendo tutti) anche il calciatore toscano Comunardo Niccolai, con la propensione all’autorete che però ebbe la fortuna di giocare nel Cagliari tra il 1969 e il 1970, l’anno dello scudetto: “Quando fu convocato in nazionale, l’allenatore del Cagliari Manlio Scopigno commentò: ‘Nella mia vita mi sarei aspettato di tutto, ma non di vedere Niccolai in mondovisione’. E io non so dire cosa mi spinge a candidarmi segretario, ma credo che ognuno di noi a un certo punto è chiamato ad assumersi la sua responsabilità e questa è la mia responsabilità”.

cuperlo

Quella responsabilità che dovrebbe scuotere un paese “stanco”: “Dopo i grandi esempi di Olivetti e Mattei, siamo diventati un Paese che ha smesso per troppo tempo di cercare la sua vocazione, di scoprire, ma siamo nati per questo: per rifare di questo paese ciò che pensiamo possa essere, per restituirgli la sua bellezza“. La situazione difficile dell’Italia per Cuperlo è colpa della crisi, ma pure delle classi dirigenti, della politica, della finanza, dell’università, della cultura: “Anche noi abbiamo la nostra parte di responsabilità. Siamo nati non per lasciare le cose come sono o correggere la punteggiatura, ma per ridare forza alla passione della sinistra”.

Vuole rifuggire da una sorta di dualismo tra amministratori locali e parlamentari che negli anni si sarebbe fatto strada nel Pd e che ora sarebbe “avanzato da altri candidati” al Nazareno (ogni riferimento omesso è chiarissimo). “In questi anni è venuta a mancare la mediazione che i partiti riuscivano essere. Quel minatore che si ferisce a favore di una telecamera ti dice che la politica non la puoi ridurre nella cornice delle istituzioni. Sono fondamentali gli amministratori e i parlamentari, ma devi guardare negli occhi i cittadini che ti candidi a rappresentare“.

Cuperlo sa che non può prescindere da un’autocritica, non come candidato ma come democratico: “Abbiamo fatto degli errori quando abbiamo pensato che il nostro compito fosse quello di spiegare che noi siamo la parte migliore della società italiana, non lo siamo. Ma siamo la parte giusta, quella che rimette al centro la dignità della persona”. Per fare questo, però, per il candidato scelto da Bersani e D’Alema il Pd non deve “puntare solo sulla leva del Governo”.

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E’ qui che parte l’affondo, indiretto ma palese, nei confronti di Matteo Renzi: assume la forma dell’invito a non guardare alla segreteria solo come “trampolino” per “un tuffo nell’acqua per poi fare una cosa più importante”. “Il governo conta, è fondamentale, però se qualcosa abbiamo capito di questi vent’anni penso sia questo: solo la leva del governo non è sufficiente”. Le riforme senza il sostegno del popolo insomma non funzionano, nemmeno a chiamarsi Obama: “Non facciamo un congresso solo per decidere chi è il nuovo leader, un nome, ma anche per riscoprire l’importanza e la passione di parole che sono capaci di descriverci“.

Per Cuperlo, insomma, il congresso è anche e soprattutto una questione di identità: “Se sei un partito politico devi dire chi sei, devi dire quali interessi vuoi rappresentare, quali sono i soggetti, le persone in carne e ossa a cui vuoi restituire la quota di potere che non hanno”. E occorre anche identificare gli avversari da combattere, comprese le banche che “hanno smesso di fare quella che era la loro vocazione, mettersi al servizio dell’economia reale”.

Non è certo questo un elemento di un paese bello e democratico. Sì, perché “Bello e democratico – il tuo Pd per il Paese di tutti” è lo slogan che Cuperlo e il suo staff hanno scelto per questa campagna congressuale. All’interno dei manifesti campeggiano parole chiave come: sud, lavoro, dignità, cultura, diritti, merito, Europa, equità, libertà, azione, coraggio.

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I due concetti fondamentali, però, per Cuperlo sono “speranza” e “ottimismo”. “La speranza è quella cosa per cui non puoi accontentarti di quello che hai davanti – ha spiegato ai giovani che ha voluto con sé in questo appuntamento -. Le grandi crisi determinano un cambio di mentalità, determinano il produrre. La speranza nell’alfabeto cinese è rappresentata da due ideogrammi: l’uno rappresenta il rischio e l’altra l’opportunità. Il problema è capire che noi non torneremo più quelli di prima, ma possiamo essere migliori, un paese diverso. Liberiamolo questo paese che ha bisogno di essere liberato”.

Sulla questione Renzi, in ogni caso, Cuperlo ha modo di intervenire al di fuori del lancio della campagna: “Se Renzi deve fare il segretario del partito, deve dedicarsi a questo perché dire che i sindaci vivono in mezzo alla gente e il segretario in una torre d’avorio non corrisponde alla realtà”. E a chi gli chiede se sia possibile fare il primo cittadino e contemporaneamente il segretario del partito, risponde: “Tra le ragioni della crisi della politica e della classe dirigente c’è anche la tendenza ala moltiplicazione degli incarichi. No, credo che i due incarichi non siano compatibili. Rispondo di no, a prescindere, come direbbe Totò”.

 

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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