Nicola Morra (M5S): “No al Superporcellum Costituzione, la riforma non rispetta le regole”

Pubblicato il 25 Ottobre 2013 alle 12:19 Autore: Gabriele Maestri
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Nicola Morra (M5S): “No al Superporcellum. Costituzione, la riforma non rispetta le regole”

E’ stato il secondo presidente del gruppo del MoVimento 5 Stelle al Senato, in una fase in cui persone del tutto digiune dei riti parlamentari avevano preso un minimo di confidenza con i palazzi, ma il grosso del lavoro era ancora da fare. Nicola Morra, classe 1963, ha lasciato da poco il suo ruolo a Paola Taverna, ma per molti all’interno del MoVimento è tuttora un punto di riferimento. 

Vale la pena affrontare con lui alcuni dei temi più urgenti che riguardano Palazzo Madama, evitando soltanto – perché se n’è detto a sufficienza – la decadenza di Berlusconi. Lo blocchiamo per dieci minuti, appena prima che ritorni in commissione Affari costituzionali, parlando della riforma della Costituzione (dopo l’approvazione discussa di ieri del ddl di deroga all’art. 138), del voto segreto da abolire e della legge elettorale da cambiare, ma non ora. E, alla fine, c’è spazio anche per una battuta su chi, nel corso dei mesi, ha lasciato il gruppo: se quei cittadini rinunciano a parte della diaria come nel M5S, nessuno avrebbe sospetti su di loro.

nicola morra capogruppo senato movimento 5 stelle

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Senatore Morra, ieri Palazzo Madama ha approvato, nella sua seconda lettura, il ddl costituzionale che deroga all’articolo 138 per modificare la Carta. Paola Taverna, vostra capogruppo, si è espressa con durezza. Lei che pensa?

Credo che, visto che la Costituzione non è “cosa di pochi” ma è “cosa di tutti”, le riforme costituzionali debbano essere fatte con il consenso della maggioranza più ampia possibile delle forze parlamentari. Pertanto, attraverso il rispetto dell’articolo 138 della Costituzione, dunque dal punto di vista procedurale e metodologico, non si sarebbe creato un fronte che per noi e per Sel è importantissimo: quello del rispetto delle regole. Iniziare un progetto di riforma della Costituzione derogando alle regole che la stessa Carta prevede per eventuali modifiche che si vogliano proporre non ci sembra la via da seguire.

Le garanzie “specifiche” che comunque il testo del ddl costituzionale prevede, cioè la possibilità di svolgere comunque il referendum confermativo finale e di “spacchettare” i quesiti per temi omogenei, non bastano?

Riteniamo che questo non basti. Aggiungo che il referendum “spacchettato”, così come è stato prospettato ieri dalla relatrice Finocchiaro, per quanto abbia comprensibili e più che legittime motivazioni, al tempo stesso si offre a valutazioni di segno opposto: noi potremmo anche rischiare di avere poi risultati compulsivi e schizofrenici. Realizzare l’architettura costituzionale è un’operazione che implica una visione d’insieme, non può mai assecondare contrapposizioni e contraddittorietà: da un lato è comprensibile la volontà di analisi, dall’altro si sarebbe dovuta perseguire anche una capacità “olistica” nella visione del sistema.

urna insalatiera senato

Un altro tema che vi ha visti impegnati in queste settimane è il voto a scrutinio segreto. Nella vostra proposta di modifica del Regolamento del Senato questa modalità di scrutinio era del tutto cancellata, a prescindere dal caso Berlusconi: perché?

Guardi, io ci penso da parecchio e sono di questo avviso: se si vuole veramente condividere lo sforzo, il conato di procedere insieme verso verità e giustizia non si deve avere paura dell’errore, perché l’errore – se si vive in una comunità di intenti – una volta conosciuto viene accompagnato da procedure di suggerimento, di proposta, di correzione. Però, appunto, dev’essere conosciuto: chi è a favore di una democrazia della trasparenza e pretende innanzitutto da se stesso trasparenza, deve anche lavorare affinché questa cultura venga condivisa dagli altri. Lei sa, ad esempio, che io all’interno del gruppo mi sono sempre battuto affinché le nostre assemblee – tutte – venissero e vengano trasmesse in streaming. Io posso pure sbagliare, ma se sbaglio io per primo debbo essere aiutato a capire: ciò potrà avvenire, appunto, se ciò che io faccio è controllabile. Penso allora che sia nel diritto degli elettori poter capire cosa gli eletti facciano: molto spesso il voto segreto serve a impedire che ciò avvenga.

Davvero per voi non ci sono ipotesi in cui mantenerlo sarebbe almeno opportuno?

Guardi, ci ho pensato perché… vede, qui ci si trincera sempre dietro al “voto sulle persone”, ma io debbo poter dire in faccia a una persona quello che ne penso, senza che questo significhi offenderla.

scheda elettorale

Restando in ambito di voto, parliamo di legge elettorale. Che il Porcellum non sia niente di buono, penso lo condivida. Eppure Beppe Grillo in più di un’occasione ha sostanzialmente detto che si deve andare a votare con la legge attuale… Non rischia di essere un controsenso?

Beppe ha semplicemente espresso questo concetto: il Porcellum è una schifezza, però abbiamo imparato a diffidare di questi signori perché, quando ci si mettono riescono a fare peggio di quanto noi si possa pensare e credere. Allora, se dovessimo scegliere tra un Porcellum per com’è e un Superporcellum ancor più “pessimizzato” – mi scusi per questa violenza alla lingua – a questo punto viene da dire: teniamoci quello che c’è. L’esperienza che stiamo tutti i giorni vivendo è che al peggio non c’è mai limite.

Quindi qual è la strada da percorrere?

Ne abbiamo ragionato spesso. Naturalmente ci sono dei problemi, dettati dalla volontà di rispettare il dettato costituzionale. Lei sa che uno dei problemi – ma non è certo l’unico – è quello della differente legge elettorale per il Senato, perché la Costituzione dice che è eletto a base regionale, e lì è tutta una questione di interpretazione: quando per voi giuristi si lavora sul concetto di interpretazione, ci si diverte assai…

Non me ne parli…

… ecco, lei capisce che bisogna semplificare il tutto, cercando di permettere al paese di sviluppare, prima ancora di una cultura della legge elettorale, io direi proprio una cultura della legalità che recuperi il senso della democrazia come dimensione dell’ascolto, del confronto. Non c’è cosa peggiore – e questo non dipende certamente dalle leggi elettorali – di trovare il Parlamento come il luogo della sordità, della chiusura reciproca e, in questi mesi, questo abbiamo capito. Loro si trincerano, per esempio, dietro al mito della governabilità, della stabiltà. Noi abbiamo abbandonato la legge elettorale che ci siamo ritrovati dal dopoguerra, sostituendola dapprima con il Mattarellum e poi col Porcellum, sempre per avere governi solidi, stabili, che durassero: di fatto, però, con queste leggi i governi non sono durati come duravano e durano in altri paesi europei. Domandiamoci se tutto non dipenda, più che da una legge, da una questione nostra.

camere camera

A cosa pensa?

Ad esempio bisognerebbe ragionare sull’articolo 67 della Costituzione, sul divieto di vincolo di mandato. Io ritengo di avere un vincolo di mandato morale nei confronti di chi mi ha eletto. Mettiamo che io sia stato eletto – usando una metafora calcistica – con l’Inter: se poi a metà campionato vado a giocare col Milan, con l’Atalanta o la Lazio, beh, qualche problema ci dovrebbe essere, secondo me. Quindi c’è tutta una serie di problemi che vanno sollevati e studiati. Me ne viene in mente un altro, che lei da costituzionalista avrà presente: diciamoci la verità, abbiamo una Costituzione che è nata in un’Italia ancora fortemente contrassegnata da ruralismo, da una forte presenza della civiltà di paese, per non dire di villaggio. Tutto questo, nell’ottica del costituente, ha comportato che, ad esempio, alcune regioni più piccole venissero salvaguardate con il conferimento di non meno di sette senatori. Poi però si scopre che, così facendo, per eleggere un senatore in Basilicata servano 60-70mila residenti, mentre in Lombardia ne servono 200mila: su queste cose bisogna ragionare.

Beh, se ricorda, all’inizio le Camere non avevano un numero di membri fisso, ma variava in base al numero degli abitanti delle varie regioni…

Ecco, appunto, tutte queste sono questioni che, studiando, affiorano: secondo me sarebbe ottimale se la popolazione italiana venisse chiamata a ragionare e a decidere sul proprio futuro.

Cosa risponderebbe a chi le dicesse che in realtà non volete cambiare ora il Porcellum perché avete capito che con quella legge potete vincere?

Dico che, negli atti parlamentari, quando c’è stata la possibilità di votare per superare questa legge elettorale l’abbiamo fatto. Sono altri che non l’hanno fatto. Se il Pd alla Camera avesse votato in funzione della mozione Giachetti, noi a quest’ora saremmo stati su un’altra prospettiva, radicalmente diversa. Quello che conta non è quello che si dice, ma quello che si vota e sui voti la posizione è stata questa.

Parlava prima di “cambi di casacca”: coloro che sono usciti dai gruppi M5S sono accusati spesso di averlo fatto per poter trattenere per intero la diaria e i compensi percepiti. Ma se restituissero le stesse somme che restituite voi, sarebbero maggiormente rispettati?

Secondo me sì, perché in questo modo si libererebbe il campo da sospetti che gravano, come è ovvio. Ma questo vale anche per chi non è uscito dal gruppo. Noi tutti siamo nati sulle piazze, in mezzo alla società civile come rappresentanti di una forza che voleva moralizzare la vita pubblica, quindi per me è un impegno anche risparmiare i 50 euro: naturalmente non significa fare il francescano o il pauperista, ma io penso che lo Stato ci faccia stare tutti quanti bene anche rinunciando a parecchi soldini che lo Stato stesso ci conferisce in diaria e altro. Se quindi, per esempio, tra di noi ci fosse stato un taglio del 30% netto dell’indennità, sarebbe stato facile andare dagli altri e chiedere una cosa simile, magari del 30% no ma del 20% sì. Deve dare l’esempio chi sta in alto, non chi sta in basso: non si possono chiedere sempre sacrifici solo a chi sta in basso, anche per questo la situazione sta diventando intollerabile.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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