Ecco cosa Berlusconi ha promesso alla UE

Pubblicato il 31 Ottobre 2011 alle 20:46 Autore: Matteo Patané

L’elenco fornito dal Governo appare tuttavia lacunoso da un punto di vista fondamentale: indipendentemente dalla bontà e dall’auspicabilità delle proposte, non spiega in che modo saranno reperite le risorse necessarie per le riforme onerose, e non spiega il razionale per cui quelle a costo zero non sono ancora state messe in atto.

Il terzo capitolo è intitolato “Una finanza pubblica sostenibile” e affronta il dettaglio delle voci di spesa dello Stato su cui il Governo intende agire per portare in attivo il bilancio del Paese e aggredire il debito pubblico.
Il capitolo è strutturato in paragrafi tematici, dedicati rispettivamente alle pensioni, alle dismissioni, al debito nel suo complesso, al costo degli apparati istituzionali, al pareggio di bilancio, oltre ad un capitolo conclusivo generico.
In realtà, come nel capitolo precedente, il grosso della lettera riguarda più un dettaglio dell’operato del Governo nei mesi passati che la descrizione degli interventi da intraprendere in futuro; così è soprattutto per il tema più caldo di questo periodo, quello previdenziale. Il veto della Lega Nord a ulteriori ritocchi al sistema pensionistico ha fatto sì che il paragrafo dedicato alle pensioni altro non sia che la spiegazione dettagliata delle riforme fino a questo momento varate, senza alcun impegno per il futuro.
Più corposo è invece il piano di dismissioni, che comporterà la vendita di immobili di proprietà statale allo scopo di eliminare ridondanze e favorire un uso più efficiente delle risorse, e un piano di privatizzazione forzata delle proprietà degli enti locali. Se da un lato si tratta di un modo per fare cassa ed eliminare gli sprechi, dall’altro una vendita forzata rischia di trasformarsi in una svendita dei beni pubblici, in cui lo stato di fatto cede a poco prezzo dei pezzi magari pregiati ai privati, i veri vincitori nello scambio.
Nei paragrafi successivi, oltre a ribadire l’impegno per la semplificazione dell’architettura istituzionale dello Stato, spicca solo il passaggio conclusivo, in cui il Governo si impegna a prendere qualsiasi misura, anche non dettagliata nella lettera, allo scopo di tenere sotto controllo i conti pubblici.

Il paragrafo conclusivo, “Conclusioni”, costituisce unicamente una chiosa finale, in cui non si fa che ribadire quanto il problema non sia nazionale ma sovranazionale, evitando una volta di più le necessarie ammissioni di responsabilità da parte del Governo.

La lettera, in ultima analisi e al di fuori delle dichiarazioni di circostanza pronunciate per calmierare i mercati finanziari, si presenta piuttosto povera di proposte concrete e incapace di dettagliare le modalità della loro messa in atto. L’esecutivo italiano sceglie una volta di più la tecnica della dilazione temporale – già nell’uso stesso di una lettera di intenti – e della negazione del problema strutturale che attanaglia il Paese – nella riproposizione parossistica delle riforme già messe in atto, quasi la scarsa fiducia nell’Italia fosse dovuta alla mancata conoscenza dell’operato del Governo.
Le istituzioni europee hanno accolto la lettera con calore, come era lecito aspettarsi, ma dietro i commenti di approvazione sono già arrivate le prime sollecitazioni a tradurre in realtà gli intenti del comunicato.
Ancora più di prima, il Governo Berlusconi si ritrova ad essere un osservato speciale di Bruxelles.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
Tutti gli articoli di Matteo Patané →