Il colpo di coda del Caimano

Pubblicato il 10 Novembre 2011 alle 09:00 Autore: Matteo Patané

L’annuncio di queste dimissioni, non formalmente dovute e neppure così scontate alla vigilia, deve quindi essere letto per quello che è: una scelta da parte di Berlusconi. E trattandosi di una scelta, è lecito pensare che vi possano essere motivazioni alle spalle che ne giustifichino la bontà e l’avvedutezza politica.

Il primo punto da tenere in considerazione sono proprio i paletti messi dal premier, ovvero le dimissioni a valle della legge di bilancio. Dal dibattito politico sulle dimissioni sono spariti i riferimenti alla situazioni giudiziaria del Presidente del Consiglio, ma non bisogna dimenticare quella bomba ad orologieria che è il Processo Mills, che si sta avvicinando alla sentena di primo grado, mentre è in attesa di partire anche il processo Ruby. Che cosa ci si dovrà aspettare, quindi, nel maxi-emendamento che sarà presentato nella serata del 9 novembre al Senato?
Se si scorrono le bozze dei lavori preparatori al Consiglio dei Ministri del 24 ottobre (quello che avrebbe dovuto licenziare il decreto sviluppo, se le votazioni alla Camera avessero avuto esito differente) si scopre la legge ad personam post mortem per l’abolizione della legittima successione e si scoprono i condoni. E poiché già più volte in passato il PdL ha cercato di inserire in norme di politica economica provvedimenti sulle intercettazioni e sulla prescrizione, è lecito attendersi colpi di coda di questo genere nel nuovo provvedimento. Uniti a provvedimenti di macelleria sociale come una nuova riforma delle pensioni e la norma sui licenziamenti facili.
Berlusconi, sostanzialmente, potrebbe far pagare un prezzo salatissimo per il suo farsi da parte, salvacondotti giudiziari che lo mettano una volta per tutte al di fuori della portata della magistratura, riuscendo da dimissionario a fare quello che non gli era mai riuscito da Presidente del Consiglio.

Ma la vera beffa è che il destino politico di Berlusconi non è, in realtà, ancora segnato. Berlusconi e Bossi, si sa, vogliono andare subito alle urne; eppure è preciso dovere del Presidente della Repubblica individuare l’esistenza di maggioranze alternative prima di sciogliere le Camere e ridare la parola ai cittadini, e in realtà non tutti gli scenari possibili sono sfavorevoli al Cavaliere.
Le elezioni immediate, in effetti, paiono proprio essere lo scenario meno favorevole per Berlusconi, malgrado la sua dichiarata preferenza per questa strada: i sondaggi danno PdL e Lega su valori molto bassi, con un Nuovo Ulivo oltre otto punti avanti. Malgrado l’abilità del premier nel condurre le campagne elettorali l’unico appiglio che Berlusconi, le argomentazioni del Cavaliere in questo frangente suonerebbero assai fiacche e poco convincenti. Puntare il dito – come sempre – su alleati infedeli che impediscono l’attuazione del programma di Governo, oppure evocare la paura del partito delle tasse e della spesa pubblica suonano infatti argomentazioni trite e ritrite, in particolar modo dopo le mancate promesse di risparmi fiscali dell’Esecutivo. Sicuramente Berlusconi deve essere consapevole della sua oggettiva debolezza in una competizione elettorale immediata o a breve termine (gennaio 2012), e la sua invocazione alle urne suona piuttosto come uno slogan pubblicitario nel caso in cui si verifichi lo scenario opposto, ovvero il cosiddetto governo tecnico.
Proprio il governo tecnico, infatti, sarebbe un’opzione davvero vantaggiosa per il Cavaliere. Un esecutivo guidato, ad esempio, da Mario Monti con il sostegno delle forze oggi di opposizione più i malpancisti della maggioranza sarebbe un facile bersaglio per la campagna elettorale di Berlusconi. Le condizioni del nostro bilancio sono tali da richiedere misure durissime, misure contro cui – abbandonando il fair play istituzionale che la situazione richiederebbe e che infatti oggi il PdL richiede all’opposizione – Berlusconi potrebbe scagliarsi con tutta la forza del suo impero mediatico. Avrebbe vita facile Berlusconi a infierire su un esecutivo costretto a imporre nuove tasse, o a far digerire all’Italia la stessa amara medicina toccata alla Grecia. Per non parlare, inoltre, del fatto che un nuovo esecutivo tecnico soffrirebbe della medesima debolezza di quello attuale: sarebbe tremendamente fragile, in balia degli Scilipoti di turno, costretto a negoziare con posti e prebende la fedeltà dei singoli cani sciolti. E infine, naturalmente, c’è la scommessa della possibilità di reali convergenze tra partiti eterogenei come FLI, UdC, PD e IdV su temi di ampia rilevanza sociale. Comodamente all’opposizione, Berlusconi potrebbe assistere tranquillo al disfacimento di un qualsiasi esecutivo tecnico e preparare il proprio ritorno in grande stile, una volta cambiata ancora una volta la marea a colpi di riforme lacrime e sangue.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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