Sovranità economica: la correlazione tra politica fiscale e monetaria

Pubblicato il 3 Settembre 2017 alle 12:59 Autore: Redazione
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Sovranità economica: la correlazione tra politica fiscale e monetaria

Sin dal primo dopoguerra, in particolare negli Stati Uniti, tramite le politiche di welfare state, ha acquisito particolare risalto quel che è sempre stato – sin da quando esiste lo Stato moderno – il gran raggio d’azione che una nazione può avere nella gestione delle proprie risorse economiche.

Sovranità economica: la relazione tra politica fiscale e politica monetaria

In tal caso, si è soliti parlare di politiche fiscali e politiche monetarie. Perni fondamentali su cui far girare la salute economica e finanziaria dello Stato stesso. La politica fiscale non è altro che l’intervento pubblico nel sistema economico; in particolar modo si tratta della variazione della c.d. spesa pubblica. È proprio sull’aumento della spesa pubblica e sul consecutivo aumento del debito pubblico che si fondano le politiche di welfare state, cioè di stato sociale, necessarie per assicurare uno Stato assistenziale che riesca a garantire i diritti fondamentali che spettano ad un cittadino all’interno della collettività (come l’istruzione; la salute pubblica; la previdenza sociale e così via). La politica monetaria è, invece, l’intervento del banchiere centrale nell’offerta di moneta, fondamentale nel mantenere gli equilibri macroeconomici e nella gestione dell’inflazione, del tasso d’interesse e di cambio.

Uno Stato, qualora detenga di diritto il potere di gestione di tali due politiche, andrà a coordinare questi sistemi in modo tale da soddisfare le esigenze del momento dettate dal particolare periodo storico. Basti ripensare alle politiche di welfare del presidente Roosvelt nel post prima guerra mondiale (sopra citate). Queste, insieme ad altri fattori contingenti, riuscirono a far riemergere a testa alta gli Stati Uniti dalla grande depressione causata dal crollo della borsa del 1929. Il forte investimento dello Stato nel mercato del lavoro statiunitense incise in maniera marcata sulla ripresa economica.

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Sovranità economica e istituzioni comunitarie

È indiscutibile, quindi, l’importanza di queste due politiche ed è indiscutibile come nella gestione di uno Stato siano necessarie per attuare un certo modello politico. Tuttavia, con l’entrata in vigore – nel 1993 – dei trattati di Maastricht, si è andato a segnare un punto di non ritorno nel passaggio delle sovranità nazionali in ambito economico; dagli Stati alle istituzioni unionistiche. Tant’è vero che con l’avvento delle c.d. “condizioni di convergenza” necessarie per partecipare all’Unione  (tra cui : differenziale di inflazione non superiore all’1.5% rispetto alla media dei tre Paesi più virtuosi; rapporto deficit/PIL inferiore al 3%; rapporto debito/PIL inferiore al 60% etc…) introdotte proprio con Maastricht, si va a vincolare la politica fiscale degli Stati e la gestione della loro spesa pubblica. Come conseguenza, vi è minor libertà di intervento pubblico a garanzia del welfare state, e qualsiasi attuazione di determinate politiche di investimento simili alle politiche Roosveltiane.

Tali politiche fiscali sono legate alle decisioni comunitarie; qui, l’unica istituzione eletta democraticamente è il Parlamento Europeo. Tuttavia, i poteri principali di promozione e di coordinamento del processo legislativo appartengono alla Commissione Europea: organo tecnico; formato da individui rappresentatanti né degli Stati; né dell’elettorato europeo, ma che bensì sono meri tecnici che agiscono con determinate finalità , autonome dagli Stati membri. Finalità perseguite proprio nei procedimenti legislativi dell’Unione; dichiarate con chiarezza nel trattato di Lisbona e obbligatoriamente rivolte a soddisfare gli interessi dell’Unione stessa.

Sovranità economica e Banca Centrale Europea

È ancora più emblematico, invece, come la politica monetaria appartenga di diritto alla sola Banca Centrale Europea, organo autonomo, indipendente e meramente tecnico, dedito sin dai tempi di Maastricht a perseguire particolari obiettivi, individuati dal trattato stesso, come la stabilità dei prezzi e dei tassi di cambio, andando nel frattempo a vincolare qualsiasi forma di investimento per i Paesi debitori (o chiamati, in Europa PIGS: cioè maiali. Acronimo di Portogallo; Italia; Grecia; Spagna; visti come un fardello economico per i Paesi creditori come la Germania) e non garantendo copertura monetaria ad alcun tipo di investimento pubblico particolarmente ingente.

Arturo Bellini

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