Il falso mito di Hugo Chavez

Pubblicato il 9 Dicembre 2011 alle 09:32 Autore: Livio Ricciardelli
Chavez

Il continente sud-americano è senza dubbio la parte del globo che politicamente negli ultimi dieci anni ha stupito di più. Da un continente che, dopo il naufragio del sogno pan-ispanico bolivariano, era noto per le sue divisioni e la sua instabilità governativa (anche causata dalla politica estera americana, in particolare dal corollario di Theodore Roosevelt alla dottrina di Monroe) siamo passati ad un continente sempre diviso in molti stati ma con governi eletti democraticamente. E dove, se si esclude il caso colombiano e il nuovo corso cileno, vi è una forte affermazione delle forze politiche di sinistra (e con “sinistra” intendo considerare tutte le varianti sia riformiste sia radicali). Questo ha portato ad una maggiore concertazione tra gli stati del Sud America nonostante il presidente colombiano Santos sia costretto molto spesso a lamentarsi pur di non fare la foto di gruppo coi suoi partner che lo massacrano a tutte le riunioni dell’Unione delle Nazioni Sudamericane.
Continente che a differenza dei cugini del Nord America, è sempre stato diviso proprio per pressioni statunitensi, ha visto numerosi esempi di brutali dittature spesso anche ostili agli interessi e alla visione politica americana, ma che venivano sostenuti dai cugini a stelle e strisce in nome del rischio e del pericolo bolscevico. Questo essere in parte satelliti degli Stati Uniti ha portato gli stati sudamericani ad adottare in maniera compatta (se escludiamo una breve presenza direttoriale in Uruguay) forme di governo presidenziali (che sono spesso sfociati nel caudillismo) che di conseguenza legano l’immagine di un leader alla politica di un paese.

Il personaggio senza dubbio più discusso dell’area è il presidente venezuelano Hugo Chavez. Paladino della sinistra radicale anche in Italia, considerava Bush jr un diavolo tanti da farsi il segno della croce all’assemblea generale dell’Onu. Regala, giustamente, libri ad Obama sui guasti statunitensi nel Sud America e apre un canale privilegiato con Castro.
Nonostante qualche mio amico, commentando gli ultimi avvenimenti in Honduras, continuasse a pronunciare frasi del tipi “Spero che Chavez invada tutto e ristabilisca l’ordine”, mi permetto di dissentire da una logica di questo tipo.
Non perché provo antipatia per Chavez, ma perché non lo reputo un esempio. E sarò più esplicito: lo considero il personaggio forse meno interessante dell’area.
Il Venezuela è dopo l’Iraq il secondo paese per quantità di pozzi petroliferi, ed è quindi normale che si parli spesso del governo di Caracas. Ma ritengo che nonostante tutto Chavez rispetto ai leader degli agli altri paesi dell’area sia quello che meno ha percorso il tragitto del progresso democratico e del rafforzamento degli organismi di garanzia.
E vi dirò di più: Hugo Chavez deve la sua popolarità ad un leader europeo, perlopiù di destra. Il suo nome è Josè Maria Aznar.

Chavez

Nel marzo 2002 il nostro professore d’italiano alle scuole medie, allora frequentavo la seconda, ci faceva leggere il giornale e ci chiedeva come compito un riassunto di un articolo scelto da noi. In quel periodo allora mi occupai del fallito golpe contro Chavez, che vide per soli due giorni il potere venezuelano in mano al presidente degli industriali Carmona, salvo poi delinearsi il ritorno di Chavez in patria tra tripudi e bandiere. Tutto ciò fu anche a causa di una certa pressione ed una certa organizzazione dell’allora governo popolare spagnolo anche se la vicenda è ancora oggetto di disputa e il Re Juan Carlos di Borbone ha avuto anche occasioni di screzio con Chavez su questo fatto (“por què no te callas!”). Quindi se Chavez è cosi popolare si deve anche ad un errore esterno, perlopiù organizzato da uno dei principali leader della destra europea.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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