“ Che faccio io, butto mio figlio?” Sfogo di una mamma abbandonata dalla sanità di Olbia

Pubblicato il 9 Marzo 2014 alle 11:21 Autore: Marco Caffarello

Lo sfogo su internet di Maria Rita Lo Verso, madre di Cristian, un ragazzo di 25 anni di Olbia che da dieci vive in uno stato vegetativo permanente. Sebbene sia dimostrabile da documenti video che i farmaci somministrati aggravano lo stato di salute di Cristian, per la medicina si tratta di epilessia. Oltre il danno, la beffa: ridotte le ore per la riabilitazione motoria. Lo sfogo della madre su internet.

Che faccio, lo butto via mio figlio? Gli hanno tolto anche la logopedia e fa pochissima fisioterapia, cioè due sedute alla settimana di appena venti minuti. Sapete cosa mi hanno risposto dall’Asp di Olbia? Se vuole questo possiamo darle, altrimenti niente!.

Comincia così lo sfogo di Maria Rita Lo Verso scritta per il sito ‘laspia‘( è possibile trovarlo anche sul gruppo Fb ‘Sì al metodo Stamina‘), madre di tre fratelli residenti in Sardegna,ad Olbia, di cui Cristian, un ragazzo di 25 anni che un maledetto pomeriggio di dieci anni fa fu colto da un malore che lo ha ridotto a vivere in uno stato vegetativo permanente. Ebbene, delusa dall’indifferenza delle istituzioni che hanno abbandonato lei e la sua famiglia al proprio destino, sfinita dai sacrifici e attenzioni continue che una vita ad accudire un figlio disabile richiedono, Maria Rita ha pensato bene quindi di raccontare ai giornali la sua storia e lo sdegno per una sanità che definire ‘mostruosa‘ può apparire educato, e grazie anche al tam tam dei socialnetwork, la storia di Cristian è giunta sino a qui.

Nella sua lettera la madre inizia proprio dal momento in cui tutto nella sua vita e in quella di suo figlio sta per cambiare:         ”Stava per raggiungere la salagiochi poco distante da casa, e ad attenderlo c’erano i suoi amici che purtroppo, però, quel pomeriggio non lo hanno visto mai arrivare. Cristian, infatti, all’improvviso poco prima di arrivare in sala giochi si accasciò a terra. Le persone che assisterono alla scena cercarono di prestare i primi soccorsi, chiamando subito il 118. Arrivò l’ambulanza medicalizzata, ma sembrava troppo tardi: la dottoressa per telefono mi disse che il cuore di Cristian avesse cessato di battere”.

Cristian infatti era stato colto da un infarto, e date anche le sfortunate condizioni in cui il fatto si era verificato, e data a volte la lentezza dei servizi sanitari (non sempre, ma è purtroppo anche vero che la cronaca racconta che il ritardo dei soccorsi risulta essere ancora troppo spesso la prima causa dei decessi e/o aggravamento delle condizioni di salute dei pazienti), questo stato gli ha procurato danni irreversibili: “L’arresto cardiaco sembrava avesse impedito l’ossigenazione al cervello per diversi minuti ma, pochi istanti dopo, il cuore di mio figlio riprese a battere. Così accadde per diverse altre volte – dichiara ancora la signora Lo Verso – e la nostra gioia durò davvero poco”. Sì, perchè come si è detto, il malore che ha colpito Cristian gli ha procurato danni irreversibili al sistema nervoso, e da allora vive in uno stato vegetativo.

Continua la signora Maria Rita, un passo della lettera cardinale per comprendere le ragioni che l’hanno spinta a scrivere la lettera: ”Da quel momento continuo a fare di tutto per farlo star meglio, seppur nella gravità delle sue condizioni, riprende peso ed a migliorare, con poche occasioni di crisi. Sennonchè a novembre del 2013 una neurologa di servizio in ospedale gli cambia una medicina, da quel momento Cristian torna a star male e ad avere delle crisi”.

Si comprende quindi come a partire da qualche mese, appena quattro, le condizioni di salute di Cristian siano peggiorate, e probabilmente a causa del cambio della terapia farmacologica. Tant’è come testimonia la stessa signora Maria Rita (documentando tra l’altro i fatti con immagini video facilmente rintracciabili su YouTube), che da quando Cristian ha cominciato ad assumere questo nuovo farmaco, i dolori di cui è vittima, dichiara, sono terribili, e durano a volte anche più di 15 ore. Preoccupata naturalmente per l’aggravamento dello stato di salute di Cristian, la signora Maria Rita si reca quindi dai dottori che l’hanno preso in cura, a cui chiede spiegazioni, per sentirsi rispondere, con fare professionale, che si tratta di epilessia:”Quando mi trovo al cospetto dei medici ai quali chiedo di sapere cosa abbia mio figlio, quasi sempre mi sento rispondere che si tratta di epilessia. Ed ogni volta vado su tutte le furie. In pochi minuti si ritrova in un bagno di sudore, sono costretta a cambiargli la maglietta anche quindici volte al giorno. Le crisi epilettiche non durano quindici ore” Quindi mostra il video del figlio, e poi continua:”Quando lo faccio presente al dottore di turno, quasi sempre mi lasciano intendere che è inutile agitarsi e che quella è l’unica diagnosi alla quale appellarsi, che mi piaccia o no. Altrimenti che lo butti mio figlio, in fin dei conti per la sanità è solo un peso.” E da qui lo sfogo della madre:”E dove lo dovrei buttare mio figlio? E perché? Non è forse un essere umano? No, mi spiace, io non smetto di lottare per lui. Ma come conviene a storie come questa, oltre il danno la beffa: sì, perchè oltre probabilmente aver sbagliato farmaco che procura dolori per il figlio, ed oltre ad aver diagnosticato, come testimonia la signora Maria Rita, un po’ troppo frettolosamente che si tratta di epilessia, ancor più concretamente, e gravemente, il sistema sanitario è riuscito a fare persino peggio di così, ovvero a privarla dei servizi sanitari necessari per le cure del figlio, come la riabilitazione motoria concessa dall’Asp ora ridotta al lumicino. Cure costosissime che come troppo spesso avviene ( i malati di SLA difronte al ministero dell’economia solo pochi mesi fa ne sono un’ulteriore testimonianza) sono solo a carico delle famiglie, e il più delle volte a fronte di servizi inadeguati, se non professionalmente, almeno in termini di empatia. “Da dove prendo tutti questi soldi per curare mio figlio, devo andare a rubare?”, continua la madre, e così conclude,”Voglio che la storia di Cristian venga diffusa, affinché altre mamme come me prendano il coraggio di uscire dal silenzio e di pretendere che i nostri figli vengano curati. Voglio dire loro che non devono rassegnarsi e che unite possiamo cambiare le cose. Aiutatemi, condividete questa storia. Dobbiamo almeno provarci”. E’ dovere di uno Stato, di una comunità che si definisce civile, evitare che le famiglie con a carico disabili e malati restino sole a sè stesse, sole in un mare di indefferenza.

http://fisiomedicine.wordpress.com/2014/03/08/che-faccio-io-butto-mio-figlio-lo-sfogo-della-mamma-di-cristian-lo-verso/