INTERVISTA Storace: “Offese al Quirinale, rischio la galera per una norma illiberale”

Pubblicato il 25 Settembre 2014 alle 20:29 Autore: Gabriele Maestri
storace vilipendio

Meno 25 giorni all’alba, o all’inferno. Per Francesco Storace il 21 ottobre rischia di essere il giorno più difficile: un giudice potrebbe condannarlo a una pena fino a cinque anni di reclusione per il reato di offese all’onore del Capo dello Stato.

Il leader della Destra nel 2007 aveva definito “indegno” Giorgio Napolitano all’interno delle polemiche legate al sostegno fondamentale dei senatori a vita (in particolare di Rita Levi Montalcini) all’ultimo governo di Romano Prodi: quelle parole avevano fatto partire le indagini della magistratura, proseguite su autorizzazione dell’allora Guardasigilli, Clemente Mastella.

Da più parti si chiede di intervenire, magari abrogando quel reato e altre fattispecie che puniscono opinioni (una proposta, per esempio, porta il nome di Ignazio La Russa). Nel frattempo lui, Storace, spera che qualcuno faccia un passo in avanti. A partire dal ministro Orlando, che potrebbe caldeggiare la riforma del reato, fino allo stesso Napolitano: “Una sua parola seria aiuterebbe tutti”.

storace offese

Storace, il suo è un casus belli per una discussione più ampia sul vilipendio al Capo dello Stato?

Guardi, sul mio giornale ne parliamo ogni giorno, ospitiamo opinioni, interviste a parlamentari di destra e di sinistra: ormai il caso è esploso.

Ma, a prescindere dal suo caso, secondo lei è il reato il problema?

E’ innanzitutto la procedura del reato. L’offesa al prestigio e all’onore del Presidente della Repubblica, che comunemente chiamiamo “vilipendio” ed è prevista dall’articolo 278 del codice penale, rientra tra i reati per cui (a norma dell’art. 313 dello stesso codice, ndr) il perseguimento dipende dall’autorizzazione del ministro della giustizia. Se lei da uno schiaffo a una persona, viene aperta l’inchiesta e poi decidono se archiviare o metterla sotto processo, da cui potrà uscire condannato o assolto; se invece lei insulta il Capo dello Stato o qualcuno ritiene che lei l’abbia insultato, l’inchiesta viene aperta ma occorre il via libera del ministro.

In più, chiunque può denunciare il reato, non solo la persona offesa.

Arrivo anche a questo. Si dice che il reato non serve a tutelare la persona “fisica” del Presidente, ma l’ufficio, la carica.  Vede, io sono pienamente d’accordo su un problema che viene posto da sinistra: “come si tutela il capo dello Stato?” Quel problema c’è tutto e io non lo discuto affatto. Ma il sistema per permettere comunque la tutela credo sia un altro.

Quale?

Innanzitutto togliere di mezzo questa roba del ministro, che è davvero borbonica. Nel mio caso il ministro della giustizia dell’allora governo Prodi, Clemente Mastella, doveva decidere se far andare sotto processo un esponente dell’opposizione: una cosa mai vista, proprio illiberale.

clemente mastella forza italia elezioni europee 25 maggio 2014

E allora come si fa?

Il Presidente della Repubblica, se si sente offeso, deve poter provvedere direttamente alla querela; se lo si vuole porre in condizione di supremazia rispetto ai cittadini, dandogli maggiore tutela, allora si può anche procedere con rito direttissimo (che prevede che si vada direttamente a processo, senza passare per l’udienza preliminare, ndr) per queste querele. Tutto questo sarebbe il deterrente più forte: se io so che, parlando con lei male del Capo dello Stato, lui si offende e posso essere processato per direttissima, ci sto più attento.

E invece…

E invece ci troviamo, sette anni dopo i fatti, a discutere di un reato contro l’ufficio, quando tra l’altro io allora dissi che Napolitano era “indegno per la carica”, quindi parole che erano chiaramente contro la persona. Al di là di questo, noi ci siamo rappacificati e anche questo depone a vantaggio della mia mia tesi: ma, a questo punto, se ci fosse stato il meccanismo della querela, dopo il chiarimento e la stretta di mano, sarebbe stato il tipico caso in cui tutto finiva con la remissione della querela.

Il processo invece è continuato.

Sì, è andato avanti, è finito alla Corte costituzionale, è tornato in tribunale… una serie di peripezie incredibili: il risultato è che tra venticinque giorni posso pure andare in galera, decadere da consigliere regionale e vedermi preclusa ogni carica elettiva perché di mezzo c’è pure la “legge Severino”. Tutto questo per un “indegno”.

La sentenza però non sarebbe definitiva e non si applicherebbe quella norma…

Ma io già annunciato che non impugnerò la sentenza, anche se fosse di condanna. Se si deve rischiare la reclusione per la parola “Indegno”, nonostante il chiarimento, questo paese deve sprofondare: il diritto è calpestato e tutti lo devono sapere. Vale la pena il sacrificio personale perché spero evidentemente che qualcuno ci metta le mani.

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Eppure della riforma dei reati di opinione si parla da tempo, soprattutto da quando era esploso il caso di Lino Jannuzzi, proprio mentre era parlamentare. Ritiene che non sia cambiato nulla?

No, anche perché la giurisprudenza della Corte costituzionale continuamente mette in discussione il diritto all’opinione dei parlamentari: questo non so quanto sia giusto. Il reato contro il Capo dello Stato, però, non riguarda solo i parlamentari, ma ogni comune cittadino e anche qui vale la procedura ministeriale già vista: questo è il secondo aspetto grave.

Cioè?

Il ministro di fatto decide chi va a processo e chi no. Per dire, il deputato del M5S Sorial ha dato del “boia” a Napolitano; un’altra deputata poco tempo fa ha detto qualcosa di simile. Se su di loro il ministro non dà l’autorizzazione, mentre su di me è stata data, sono o non sono due pesi e due misure? Un reato di questo genere non può essere assoggettato all’arbitrio di un ministro.

Di fatto il 21 ottobre per lei sarà il giorno della verità, da cui uscire assolto o condannato…

Sì. A meno che, per dire, il Parlamento in queste settimane non attivi la calendarizzazione dell’abrogazione del reato: il giudice, a quel punto, potrebbe anche rinviare, nell’attesa di capire cosa faranno le Camere.

Questioni di economia processuale dunque.

Ma lo dico anche in riguardo a Napolitano. Tanto in caso di assoluzione, quanto più in caso di condanna con le conseguenze che ho detto, comunque viene esposto…

Crede che sarebbe opportuno un intervento pubblico del presidente Napolitano?

Io credo di sì, ma non bisogna nemmeno strattonarlo. Comprendo il riserbo, ma se dicesse una parola seria su questa vicenda, dicendo se il processo deve andare avanti o no, forse aiuterebbe tutti. Chi certamente non si è mosso è Orlando, l’attuale ministro della giustizia, non dà proprio segni di vita.

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In che senso?

Lui blocca tutte le indagini su questo tipo di reati e forse li considera inefficienti, visto che non abbiamo notizie di una sola sua autorizzazione; in compenso non fa un passo per abrogare il reato.

Lui però non è nella posizione di Mastella, quanto a poteri di intervento.

Come no? Se propone di abrogare il reato sì.

Intendo dire che non tocca a lui decidere sul suo caso, come aveva fatto all’epoca Mastella.

Beh, io la curiosità di vedere cosa succederebbe se Orlando emettesse un provvedimento di revoca dell’autorizzazione a procedere nei miei confronti io l’avrei. Sarebbe un precedente curioso eh?

Diceva che anche esponenti di sinistra si sono espressi a favore dell’abrogazione del reato…

Già, domani sul Giornale d’Italia ospitiamo le parole del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, del Pd. Anche il vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, di Sel, non propriamente vicino a me, si è espresso in modo decisamente contrario a questo processo.

Ma allora, scusi, chi vuole che questo processo vada avanti e magari finisca con la sua condanna?

Lei vuole farmi prendere due condanne… Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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