Pier Paolo Pasolini e gli assassini scoreggioni

Pubblicato il 2 Novembre 2015 alle 17:04 Autore: Redazione
Da sinistra: Franco Citti, Pier Paolo Pasolini, Ninetto Davoli

Pasolini, quarant’anni dalla sua uccisione. In questo anniversario ospitiamo la firma di Saverio Mazzeo, irritato dalle odierne prefiche che, in una corale celebrazione (che forse è un’autocelebrazione), ritraggono il poeta omettendo le note meno edulcorate dell’artista corsaro.

Da sinistra: Franco Citti, Pier Paolo Pasolini, Ninetto Davoli

Franco Citti, Pier Paolo Pasolini, Ninetto Davoli

L’importanza capitale di Pier Paolo Pasolini è tutta in Comizi d’amore. Perché nel suo documentario – il quale è tutto un capolavoro di neorealismo – lo scrittore si scontra con quella stessa Italietta che oggi – ricorrente il quarantesimo anniversario dell’assassinio – ovviamente scalpita nel tesserne prontamente le lodi. E però l’esercizio della memoria (che in realtà è esercizio di vanità, è il farsi scambiare per intelligenti lodando gli intelligenti) mette in evidenza le qualità meno disturbanti dell’artista, i tratti meno netti, meno feroci, meno aggressivi. E quindi ecco che tutti piangono: i figli illegittimi, i conformisti camuffati, i professionisti del mestiere. Il ritratto adeguatamente edulcorato è sempre pronto a favore di celebrazioni. Preconfezionato, ciascun artista possiede il suo. La società vince sempre su quell’Unico stirneriano a cui non resta che abdicare. Così fu per Artaud, scandaloso al pari del Pasolini nazionale. E ancor più completa fu la vittoria su quel Van Gogh che di quadri ne vendette la bellezza di uno, a quella società di allora e quindi di oggi (sempre uguale è a se stessa come in un eterno ritorno nietzchiano) che oggi non conosce altro da quei girasoli che ha in testa, in quella testa vuota e tutt’altro che pazza. Pasolini – è vero – ebbe la ventura e la sfortuna di conoscere il successo e quindi dare alla cultura italiana una spruzzata di coraggio e anticonformismo dall’alto di quella cattedra che sempre spetta ai maestri. Spetterebbe. Perché così – giusto per citarne uno – non fu mai per quel Dino Campana – illustre pazzo di Marradi – che poeta fu, ben più di Pasolini. Per l’appunto, il Pasolini dell’odierna celebrazione – fateci caso – è il Pasolini poeta, non il corsaro degli Scritti. Il Pasolini mediocre, gestibile, pubblicabile. Persino l’ammiraglio inglese Fazio Fabio – quello dall’umorismo da salotto d’oltremanica – riempiva, la scorsa serata, i minuti vuoti della sua Che tempo che fa celebrando quel corsaro ucciso – sul versante morale, quindi etico ed estetico – proprio da quel sistema che ieri ed oggi lo osanna e che scarica le responsabilità morali dell’assassinio su quel sottoproletariato invece caro a Pasolini. Comizi d’amore, appunto, è esemplare in tal senso. Il rapporto di autenticità tra Pasolini e la società italiana riguarda esclusivamente quest’ultima nella sua declinazione sottoproletaria. L’autenticità dell’agricoltore calabrese dei Comizi infrange il potere della sovrastruttura. Restituisce a Pasolini il substrato autentico del tipo d’uomo che inconsapevolmente aggira il linguaggio del potere.

Agricoltore calabrese intervistato da Pasolini

Studio sul potere del linguaggio: anche questo è Comizi d’amore. Non è un caso che alla sua destra ed alla sua sinistra, a circondarlo, si possono trovare, idealmente, Ninetto Davoli e Franco Citti l’accattone. Egli subì il fascino del diverso da sé e ne volle morire. A proposito di Franco Citti, memorabile resta quel meraviglioso dialogo (fra sordi) tra quest’ultimo e Carmelo Bene andato in scena in un Costanzo Show d’annata. L’accattone chiede a Bene una via di salvezza per poterlo seguire sulla via del genio incurante delle beghe condominiali della società civile; per tutta risposta il genio, da genio, lo rassicura: “Ma tu lo sei, a tuo modo. Tu sei accattone. Loro sono degli accattoni e non lo sanno”. La platea ne esce poi definitivamente demolita quando Bene, da pugile di razza, assesta il colpo da k.o.: “Loro sono degli assassini dilettanti. Degli assassini scoreggioni. Questo sono questi signori qui”. Ecco ancora qui quel rapporto di autenticità tra l’accattone Franco e il genio Carmelo: “Nei miei vuoti io ti penso, stai tranquillo… Si può essere solo dei capolavori. Si può essere anche dei capolavori mancati; anzi, capolavori e mancati… Dovessi fare il conto di tutta la merda che c’è qui dentro certamente escluderei Franco Citti”. È questa l’Italia orfana di Pier Paolo Pasolini.

Saverio Mazzeo

L'autore: Redazione

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