Banche Credito Cooperativo, i punti critici della riforma

Pubblicato il 15 Febbraio 2016 alle 18:19 Autore: Redazione
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Banche Credito Cooperativo, i punti critici della riforma

La riforma delle banche di credito cooperativo, approvata giovedì dal Consiglio dei ministri, rischia di diventare il prossimo terreno di scontro tra governo e maggioranza. Oggetto del contendere è la norma, inserita all’ultimo, che permette alle Bcc più grandi di non aderire alla holding. “Si tratta di una norma ad personam” tuona Giancarlo Giorgetti della Lega Nord. “Il testo che è entrato a Palazzo Chigi era condiviso anche dall’universo del credito cooperativo, mentre quello in corso di pubblicazione ha avuto correzioni volute da Palazzo Chigi che deve risponderne”. In che cosa consiste questo cambiamento di cui parla Giorgetti? Vediamolo insieme partendo dall’inizio grazie a questa infografica del Corriere della Sera.

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Banche Credito Cooperativo, un aiuto politico?

Secondo Libero, dietro al “way out” escogitato dal governo c’è una strategia politica.

Sulla carta sarebbero una decina le bcc con questo requisito, che pare cucito su misura per due realtà della Toscana: il gruppo empolese Cabel e Chianti Banca, che, tra altro, dovrebbe veder arrivare a stretto giro, come presidente, l’ex membro della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, fiorentino e renziano.

Queste due banche potranno trasformarsi in spa, versando un po’ di quattrini al fisco. Venerdì il direttore di Chianti Banca, Andrea Bianchi, ha parlato di «illazioni». Dalla Bcc di Cambiano, invece (parte del gruppo Cabel con Pisa-Fornacette e Castagneto e che è l’unica delle tre sopra i 200 milioni indicati dal decreto-Renzi) si son limitati a dire che valuteranno tutte le opzioni. La scappatoia, dunque, non dispiace.

Il piano «Monte paschi», dicevamo. I due poli del credito cooperativo toscano – da lì sarebbe partito il «suggerimento» sulla scappatoia, accolto da palazzo Chigi – direbbero «no» alla holding targata Federcasse diventando società per azioni, presupposto per dare l’assalto a Rocca Salimbeni: i prezzi a saldo di questo periodo rendono possibile quel che sarebbe stato pura fantasia fino a qualche tempo fa; circolano analisi con tanto di scenari. Con i crolli di questa settimana, il titolo Mps è sceso a 0,46 euro e la capitalizzazione totale di Borsa è a quota 1,3 miliardi.

E chissà che, più in là, non spunti pure un’offerta per Banca Etruria, di cui è stato vicepresidente Pier Luigi Boschi, papà del ministro Maria Elena Boschi. L’operazione Mps, peraltro, consentirebbe al premier di risolvere una grana che tiene da mesi sotto scacco il sistema bancario (alla banca senese serve un partner, ma tutti i grandi gruppi, a cominciare da Ubibanca, si sono sfilati).

Alle critiche mosse da Libero, risponde indirettamente l’economista Nicola Rossi, artefice della norma contestata. “La soluzione che avevo in mente che ho messo nero su bianco è molto semplice – dice Rossi al Corriere della Sera – permettere alle banche di scorporare l’attività bancaria creando una nuova S.p.A. Il patrimonio resterebbe in capo alla Bcc-madre e quindi non si violerebbe il vincolo costituzionale che ne prevede l’indivisibilità in nome della continuità intergenerazionale”.

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