“Venezuela dividido”, tra governo e opposizione

Pubblicato il 10 Settembre 2016 alle 12:30 Autore: Alessandro Faggiano
Maduro

Dopo la conferma dell’impeachment di Dilma Rousseff e del conseguente mantenimento della presidenza di Temer in Brasile, la tensione è risalita in tutto il continente. Il primo paese a reagire è stato il Venezuela, nel quale l’opposizione si è sollevata immediatamente attraverso una marcia su Caracas, chiedendo (per l’ennesima volta) le dimissioni di Nicolas Maduro. Un milione di persone ha affollato le vie della capitale, galvanizzate dai venti di cambiamento che attraversano l’America Latina. Una manifestazione certamente non isolata: la lotta politica si acuì dopo la vittoria della gran coalizione di opposizione (la Mesa de Unidad Democrática) alle elezioni per il congresso del 6 dicembre 2015. Da allora, il Venezuela vive una paralisi legislativa, in cui nessuno dei due bandi è disposto a cedere alle proposte dell’altro. La presidenza di Maduro è stata messa fortemente in discussione, e l’appoggio conseguito dall’opposizione è un chiaro campanello d’allarme per l’attuale presidente venezuelano. Inoltre, la crisi economica che vive il Paese non sembra conoscere fine.

Crisi del partito socialista di Venezuela: Maduro non è Chavez

Hugo Chavez (a sinistra) e Nicolas Maduro (a destra)

Maduro, erede dell’ex presidente Chavez, non è stato capace di ottenere la stessa fiducia del suo predecessore. Non si può evitare di rimarcare la differenza di carisma e capacità decisionale dei due leader. La successione morale da Chavez a Maduro è stata – per l’attuale presidente della repubblica venezuelana – croce e delizia del suo mandato presidenziale: gli ha infatti permesso di ottenere il favore della maggior parte dei Chavisti – e con essi, la presidenza – ma allo stesso tempo è stato limitato nell’azione politica dal peso del suo stesso defunto mandatario. Difatti, divergere dalle politiche intraprese dall’ex comandante, avrebbe comportato una irrimediabile perdita di credibilità come legittimo successore di Chavez. Inoltre,  la congiuntura economica è stata decisamente sfavorevole per Nicolas Maduro. Il crollo del prezzo del petrolio (ovvero, il bene maggiormente esportato dal Venezuela) ha portato a un drastico ridimensionamento dell’economia interna (crollando di quasi un 10% nel giro di appena due anni) mettendo a nudo le debolezze di un modello produttivo estremamente volubile. Non solo: il periodo politico che vive attualmente il continente vede un ritorno in auge della destra neoliberista (e ciò è dimostrato dalle ultime sconfitte elettorali dei maggiori leader socialisti della regione). In questa ottica, la crisi in Venezuela – Paese precursore del socialismo del XXI secolo – è sintomatica di un cambio di più ampio respiro. L’analisi della difficile situazione venezuelana, ci permette di inquadrare con maggior chiarezza ciò che sta occorrendo in America Latina.

Petrolpopulismo e “socialismo del siglo XXI”: un legame quasi-indissolubile. I casi di Venezuela, Ecuador e Brasile

ecuador correa

Rafael Correa, attuale presidente dell’ Ecuador

Come affermato precedentemente, il modello produttivo venezuelano si fonda sull’esportazione di petrolio e derivati. La nazionalizzazione del bene permise una crescita economica invidiabile, capace di sostenere delle politiche sociali estremamente rilevanti. Il populismo di sinistra, fondato sul finanziamento delle politiche sociali attraverso l’esportazione di petrolio (per mezzo di imprese statali) è comunemente definito “Chavismo“. Nonostante ciò, è preferibile utilizzare il termine di “petrolpopulismo (in quanto non è necessariamente legato alla figura di Chavez o al sistema politico venezuelano). Uno dei maggiori promotori del petrolpopulismo nel sub-continente è stato l’attuale presidente dell’Ecuador, Rafael Correa. Seguendo il modello venezuelano, ha nazionalizzato le risorse petrolifere mettendo in atto importanti politiche sociali. Inoltre, il governo ha cominciato a investire in una diversificazione del modello produttivo (per evitare gli shock economici dovuti al possibile crollo del prezzo del petrolio). Lo stesso ha fatto il Brasile durante la presidenza di Lula da Silva, avvantaggiato – tra l’altro – da una capacità produttiva industriale decisamente maggiore rispetto a Ecuador e Venezuela. È possibile evidenziare, pertanto, la grande falla dell’economia venezuelana, a partire dalla prospettiva del socialismo latinoamericano: la pressoché totale dipendenza da una sola risorsa produttiva.

Il Venezuela diviso tra governo e opposizione: la congiuntura economica ne determinerà l’indirizzo politico.

Sebbene tutta la regione stia vivendo un intenso periodo di trasformazioni politiche, è proprio il paese di Nicolas Maduro che è sull’orlo del collasso economico e del dramma sociale. Ogni giorno filtrano notizie discordanti: dalla carenza dei beni di prima necessità, alle accuse di boicottaggio (messe in atto dall’imprenditoria venezuelana), ogni notizia è pronta ad essere prontamente smentita, confermata e nuovamente smentita. La guerra comunicativa tra i socialisti e l’opposizione è imperitura e non conosce tregua. L’estrema debolezza in cui verte l’economia del Paese non permette una ripresa attraverso semplici iniezioni di fondi. La congiuntura economica e, in particolar modo il prezzo del greggio, indicheranno il cammino della patria del socialismo del XXI secolo. Le elezioni presidenziali – da celebrare nel 2018 – sono ancora lontane e, fino ad allora, sarà necessario uno sforzo – da parte di entrambe le fazioni – per poter mantenere il Paese in linea di galleggiamento. In primis per il popolo venezuelano, che vive ormai da troppo tempo in uno Stato politicamente diviso e socialmente lacerato, incapace di vedere oltre le divergenze ideologiche (e ciò vale tanto per l’uno che l’altro bando). Osservando la situazione attuale, l’assenza di dialogo è destinata a protrarsi nel tempo: il tutto a scapito di una nazione ridotta allo stremo e che sente la necessità di avere risposte concrete da parte dei propri dirigenti politici.

Alessandro Faggiano

L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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