Pd-M5S: il dialogo sulla legge elettorale e il macigno della governabilità

Pubblicato il 25 Giugno 2014 alle 17:10 Autore: Gabriele Maestri

Il rito dello streaming sulla legge elettorale è dunque andato in scena, meno teatrale del copione scoppiettante (breve) Renzi-Grillo e con più contenuti. Nonostante qualche evitabile caduta di stile da una parte e dall’altra, stavolta in diretta i cittadini hanno potuto seguire un dialogo vero, in cui i dialoganti si sono obiettivamente confrontati su alcuni punti, pur restando – verosimilmente – ognuno ben convinto della bontà della propria idea e dell’opportunità di non modificarla, se non in minime parti.

Un primo frutto, dunque, questo incontro l’ha dato: anche i più pessimisti devono concludere che dialogare si può, senza sbraitare (anche se resta qualche parola sovrapposta di troppo). E’ presto, tuttavia, per trarre conclusioni: l’intenzione di Danilo Toninelli, cioè promuovere un secondo incontro esteso agli uffici legislativi di Pd e M5S, è interessante (e non è detto che questo non avvenga, anche solo in privato), ma potrebbe non bastare. Sull’ideale percorso di una legge elettorale condivisa, infatti, c’è almeno un macigno difficile da spostare o da dissolvere.

Danilo Toninelli

Certamente Matteo Renzi si è presentato all’incontro avendo letto la proposta di legge “dal basso”, di cui Toninelli è di nuovo primo firmatario – dopo il primo testo, depositato nel 2013 – anche se dal suo discorso ha mostrato di non averne capito alcuni punti qualificanti (o, forse, di non averli voluti capire in un certo modo).

Il presidente del consiglio, in effetti, ha colto potenziali problemi del sistema: ad esempio, gli elenchi anche di 42 nomi che dovrebbero essere stampati per intero sulla scheda del voto di lista, richiedendo bollettini giganti e forse non favorendo la conoscibilità dei candidati (ma sarebbe proprio l’alto numero di seggi in ballo nelle tre circoscrizioni maggiori ad abbassare, almeno lì, l’asticella per ottenere almeno un parlamentare).

renzi

Il punto di maggiore frizione tra le proposte Pd e il testo del M5S, tuttavia, è rappresentato dalla governabilità: su quel tema, infatti, può saltare tutto e anche piuttosto in fretta. La proposta Toninelli-bis cancella due punti fondamentali presenti tanto nel Porcellum, quanto nell’Italicum: il premio di maggioranza e il collegamento in coalizioni. Non c’è da stupirsi, si tratta infatti di un sistema davvero proporzionale e, come tale, non prevede nulla di tutto ciò.

Per chi, come Renzi, da mesi dice che una legge elettorale deve dire la sera stessa del voto chi ha vinto e chi governa, questo non può andare bene. Anche per questo, nell’incontro di oggi di fatto ha proposto di correggere il ddl Toninelli (anche se è stato poco chiaro, riferendosi generalmente a “qualunque sistema elettorale”) con un ballottaggio. Un congegno che ha senso solo se chi prevale al secondo turno ha un “bonus” di seggi rispetto a quelli ottenuti al primo. Cos’è questo, se non un premio di maggioranza? A quel punto, però, il sistema non somiglierebbe a un proporzionale: verrebbe meno, dunque, uno degli elementi fondamentali della proposta stellata, indicato nella consultazione.

camera dei deputati

Tra l’altro, aggiungendo il ballottaggio alla proposta Toninelli-bis, resterebbe un problema serio: vista l’assenza di coalizioni, il premio di maggioranza dovrebbe essere assegnato alla lista singola più votata al secondo turno. In questo modo, però, la distribuzione dei seggi distorcerebbe ancora di più il voto popolare, affidando a un numero inevitabilmente basso di votanti (quelli del secondo turno) la decisione su un bel blocco di seggi e alzando di molto le soglie implicite di sbarramento; all’origine, però, salterebbe proprio il sistema del M5S che non prevede una distribuzione nazionale dei seggi (cosa che invece il premio richiederebbe)

Su un punto Renzi è stato chiarissimo: “non saremo mai d’accordo” su una proposta che non dica chi ha vinto e chi governa. D’altra parte, Luigi Di Maio ha detto senza ombra di dubbio che chi vince il governo “se lo deve meritare”: con poche parole ha distrutto il meccanismo combinato del premio di maggioranza e delle coalizioni “larghe”, in cui per la smania di vincere si imbarca chiunque – compreso Mastella – e anche una lista dello zerovirgola può fare brodo (anche se il vicepresidente della Camera commette un errore, attribuendo Forza Roma e Forza Lazio al centrodestra, visto che quei simboli erano ben preesistenti e hanno una storia tutta diversa).

luigi di maio

Da parte sua, Renzi non si è detto disposto ad accordi successivi al voto, in stile inciucio, rilanciando i patti preventivi e sottoposti ai cittadini. Difficile uscire dall’impasse: se gli accordi si fanno prima, o si mettono nero su bianco e si dà loro un peso (ma allora sono coalizioni?), o si stipulano come eventualità di “seconda scelta”, da mettere in campo se una singola lista non ottiene da sola la maggioranza dei voti. Sarebbe come dire che il Pd, il M5S e ogni altro soggetto dovrebbe dire prima delle elezioni con chi sarebbe disposto a governare e sottoporsi agli elettori: se stravincesse, governerebbe da solo; se arrivasse primo senza vincere, governerebbe in società.

Basterebbe? Non è detto. Gli eventuali accordi potrebbero non portare comunque a superare il 50% dei seggi; il problema si porrebbe anche se una lista decidesse di non collegarsi a nessun’altra e vincesse senza ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Resterebbe, ovviamente, la possibilità di formare un governo e cercare la maggioranza volta per volta sui vari provvedimenti, ma all’origine ci sarebbe pur sempre uno scoglio chiamato “fiducia” (Bersani ne sa qualcosa).

schede elettorali

E’ dunque difficile, molto difficile che Renzi accetti di discutere il Toninelli-bis senza premio di maggioranza (e le forze politiche “minori” non accetterebbero volentieri di essere schiacciate senza la prospettiva di guadagnare qualche seggio del premio); è altrettanto difficile che il MoVimento 5 Stelle voglia modificarlo in quel senso, anche perché la formula utilizzata (il metodo del divisore ad incremento 0,8) già sovrarappresenta le liste più votate.

Questa situazione precluderebbe ogni discussione sugli altri punti, comprese le preferenze negative.  Se il punto di partenza è questo, il rischio concreto è che il macigno della governabilità sia così ingombrante da non riuscire a toglierlo di mezzo. Lo si può far saltare, ma è l’intera partita della legge elettorale che rischia di finire in briciole.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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