Willie Peyote: il rap impegnato di Guglielmo Bruno

Pubblicato il 17 Novembre 2017 alle 17:06 Autore: Redazione
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Willie Peyote: il rap impegnato di Guglielmo Bruno

La musica rap è sicuramente uno dei generi più in voga ed apprezzati soprattutto tra le giovani generazioni. D’altronde basta dare uno sguardo alle classifiche per rendersi conto che le prime posizioni sono quasi tutte occupate dai fautori del genere. Eppure, al contrario di quanto molti rappers italiani ci abbiano abituato a pensare, il rap non è una musica frivola ed insignificante; è il genere di chi ha qualcosa da dire, di chi vuole fare denuncia sociale accendendo i riflettori su temi spesso ignorati. In questo senso, infatti, è possibile considerare il rap come un vero e proprio erede del cantautorato. Per fortuna, seppur in minoranza, esiste una schiera di artisti italiani dediti al rap impegnato: tra questi, uno dei più meritevoli è sicuramente Willie Peyote.

L’artista torinese, il cui vero nome è Guglielmo Bruno, rappresenta un unicum nel panorama rap nazionale; i suoi pezzi, infatti, spaziano dall’hip hop al rap al funk, dal jazz al blues. Egli stesso, infatti, non ama ascriversi ad un solo genere. Da sempre appassionato di musica, scopre il rap solo negli ultimi anni delle superiori; la sua formazioni è principalmente di natura punk-rock. Dopo un paio di esperimenti non troppo riusciti con delle band punk, decide di intraprendere la strada da solista.

I primi due album: Manuale del Giovane Nichilista e Non è il mio genere, il genere umano

Nel 2011 pubblica il suo primo album, Manuale del giovane nichilista. E’ l’album più hip hop dell’artista, più integrato nel genere, eppure dà già l’idea di fare un rap più ricercato rispetto alla media; è possibile evincerlo dalla parte iniziale di Incazzato lo stesso, dove addirittura è riconoscibile il suono della tromba. I contenuti di questa produzione sono forti, è un album pieno di rabbia e cinismo; critica la società e soprattutto il mondo dei giovani, fatto di finta ribellione e di opinioni fittizie, un mondo di chi non sa più stabilire vere relazioni interpersonali.

Nel 2014 pubblica Non è il mio genere, il genere umano. Questo secondo lavoro è il manifesto del suo percorso musicale: Willie mette in chiaro cos’è e cosa non vuole essere, come si intuisce dalle parole di Oscar Carogna “non copio gli americani e non mi sento una star” e ancora, “non sono un cantastorie, lo swag, le sparatorie, il rap le paranoie, fresh, le vecchie glorie, sono un cumulo di vecchie domenica sportiva”. Il linguaggio dei suoi testi è cinico, polemico, hardcore (“da zitto sembro hipster ma se rappo suona hardcore” dice, appunto, in Glik). Caratteristica è la sua mordace satira che non risparmia nessuno, neanche sé stesso: “io mi sono laureato ma non è cambiato niente, io mi spaccio per artista emergente” dichiara in Dj e Call center.

Una laurea in scienze politiche con tesi sulla rivolta di Los Angeles del 1992

Willie Peyote, infatti, è laureato in Scienze Politiche; corona il suo percorso con una tesi sulla rivolta di Los Angeles del 1992 come conseguenza del pestaggio di Rodney King da parte della polizia. Tale tema, affrontato in maniera più generale, viene ripreso nel brano 1.3.1.2, in cui i numeri del titolo corrispondono alle lettere dell’alfabeto (A.C.A.B.). Il sound di questa seconda produzione è un hip hop più vicino al blues e al jazz, che inizia a discostarsi ancor di più dalle basi rap tradizionali.

Willie Peyote: l’evoluzione ed il terzo album

Successivamente alla pubblicazione di Non è il mio genere, il genere umano si licenzia dal suo lavoro a tempo indeterminato in un call center per dedicarsi pienamente alla sua musica o, come lui ama definirsi, per essere “un felice disoccupato”. Tra il 2015 e il 2016 pubblica il suo terzo album: Educazione Sabauda. Questo lavoro è una vera e proprio commistione di generi, ma quello che la fa da padrone è sicuramente il jazz, presente in pezzi come Io non sono razzista ma…, L’outfit giusto e in maniera rivisitata in Che bella giornata e C’era una vodka. I testi sono meno hardcore e violenti rispetto agli album precedenti, ma più ironici e satirici e cosparsi di citazioni musicali (nella parte finale di Interludio viene citata una strofa intera dell’Avvelenata di Guccini) e cinematografiche (come suggerisce lo stesso titolo del brano Truman Show).

Questa terza produzione testimonia l’evoluzione musicale e contenutistica dell’artista, un vero e proprio cambio di rotta rispetto ai precedenti lavori, senza però tradire sé stesso e la sua musica. Impossibile non citare il suo più grande successo Io non sono razzista ma…:in questo brano l’artista critica l’ignoranza e il facile populismo degli Italiani sul tema dell’immigrazione. Tuttavia, il pezzo vuole essere anche un invito a far ragionare l’italiano medio ricordandogli che noi stessi siamo sempre stati un popolo di emigranti, sia ai tempi della guerra sia oggi con il fenomeno dei cervelli in fuga (“qui da noi non c’è più futuro, guarda i laureati emigrati in Australia” e ancora “l’immigrazione è la prima emergenza in televisione, che poi non è tutta sta novità, pensa a tuo nonno emigrato in Argentina col barcone”).

Willie Peyote: il successo di Sindrome di Toret

Nell’Ottobre del 2017, pubblica il suo quarto album, Sindrome di Toret: si tratta di un concept album che ruota attorno alla libertà di espressione vista sotto varie sfaccettature; Ottima Scusa, ad esempio, tratta della fine di un amore senza disperazione e pianti di sorta; è la presa di coscienza della fine di un rapporto sentimentale che non è stato “niente di speciale ma neanche un errore”; di chi sa che questa è la normalità e che l’amore è troppo complesso per essere capito, è un qualcosa che va da sé.

In I Cani si fa riferimento alla religione: è questo un tema molto caro all’artista che proviene da una famiglia di testimoni di Geova; non è stato facile per Willie prendere le distanze dalla fede famigliare, una scelta che ha turbato gli equilibri interni alla famiglia. Sono forti, infatti, le parole della canzone in merito: “le preghiere non funzionano ma le bestemmie si” e “non sono neanche battezzato e se Dio esiste è pure peggio perché è evidente, ha cazzeggiato”. Sindrome di Toret è un vero mosaico musicale: si va dal jazz di Vendesi al blues de I Cani al funk di Portapalazzo e Metti che domani, lontani anni luce dal sound dei primi album.

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Alcune curiosità su Willie Peyote

Tra le sue collaborazioni più importanti ricordiamo Roy Paci, Ex-Otago e Dutch Nazari (altro rapper in ascesa nel panorama indie italiano). Il suo lavoro è frutto di influenze musicali variegate: 99 Posse, Subsonica, Nirvana, Rage Against the Machine, Gorillaz e Daniele Silvestri. Nel 2016 ha realizzato il documentario A sud di nessun Nord, insieme a Stefano Carena e Francesco Costanzo: un’inchiesta che fa luce su quanto accade a Lampedusa.

Lo scorso Aprile è stato invitato in prima serata al programma Che tempo che fa di Fabio Fazio su Rai1: è stata la prima volta che un rapper indipendente si è esibito in prima serata su quella rete. Per l’occasione Willie Peyote ha cantanto Io non sono razzista ma…, suscitando l’ira del giornalista Maurizio Belpietro, che sul suo giornale ha criticato il rapper torinese per aver accusato l’Italia intera di razzismo. Dal canto suo, Willie ha dichiarato che l’aver infastidito Belpietro è stato uno dei suoi più grandi successi di sempre.

Martina Quagliano

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