Afghanistan papers, capitolo 2 – “We’re running over kids with our MRAp”

Pubblicato il 16 Dicembre 2019 alle 10:55
Aggiornato il: 3 Gennaio 2020 alle 18:40
Autore: Nicolò Zuliani
Afghanistan papers, capitolo 2 – “We’re running over kids with our MRAp”

Gli americani reputano l’Afghanistan sia una sorta di decorazione fuori dalla finestra di casa loro, e non immaginano che ascoltare, parlare o interagire con la popolazione possa avere qualche utilità. Non badano nemmeno alle mappe o alle cartine, non calcolano le distanze. Trasportano la benzina con gli elicotteri da una provincia all’altra, col risultato che la benzina necessaria a trasportarla è maggiore di quella trasportata.

Il livello di integrazione con la realtà del posto consiste nel farsi spedire pizza e gelati, acqua americana in bottiglia, attrezzi da palestra ultimo modello e soprattutto i loro adorati hamburger di Burger King, il tutto al costo di 12 miliardi l’anno. Per dare un’idea, la manutenzione annuale dell’intera flotta aerea in Afghanistan è inferiore.

Un momento di allegria all’interno di una base americana

I risultati di questa politica non tardano a manifestarsi, ma grazie a un binomio di idiozia, la comunicazione viene inficiata fin dall’inizio. I vertici reagiscono alle brutte notizie come se fosse un’offesa personale, cazziano gli uomini in pubblico in un crescendo di motherfucking shit fuck you. Gli uomini allora decidono di non riferirle proprio; passano solo le cattive notizie minori perché vengono prese meglio, tipo “continuiamo a investire bambini coi nostri veicoli anti mine”.

A Bush la cosa interessa così poco che non sa nemmeno chi sia il comandante in capo in Afghanistan, il Pentagono allora decide di inviare qualcuno in grado almeno di parlare la lingua locale così da poter addestrare una milizia. Nell’estate del 2009 l’ISAF manda un ufficiale dell’aeronautica che ha imparato a parlare il Dari. Per gli standard americani è tipo una mosca bianca che s’appoggia su un quadrifoglio, e infatti appena scoprono che se la sta cavando bene, si affrettano a trasferirlo in Giappone così magari gli fa fare bella figura anche lì. Le milizie restano addestrate a metà e tagliano la corda. Risultato, non riescono ad addestrare nemmeno cinque persone.

Scelgono tale ambasciatore Crocker; un uomo che non ha idea di dove sia l’Afghanistan, non parla altra lingua se non l’inglese e ha solo 72 ore di preavviso prima di venire paracadutato lì.

Mentre Crocker vaga nella notte afghana fermando i pickup e chiedendo “are you my Uber?” gli ufficiali si degnano di ascoltare gli interpreti. Loro spiegano che lì le cose sono complesse, la società è frammentata in etnie, tribù, famiglie in guerra tra loro da migliaia di anni. C’è però una cosa di cui tutti hanno bisogno, ed è l’acqua. Agli americani non sembra vero: scavare pozzi gli farebbe guadagnare il favore delle fazioni e darebbe loro diritto di sedere ai tavoli delle trattative per farli andare d’accordo… Ma è palloso. Less is more.

Decidono di costruire un solo pozzo giusto a metà strada.

Badate, tutto questo è reale.
Hanno davvero messo la culla tra moglie e suocera.

I pozzi diventano una sorta di striscia di Gaza dove uomini, donne e bambini si massacrano a vicenda totalizzando falangi di morti. Le tribù sono così disperate che mandano dei rappresentanti a supplicare “ma perché continuate a scavare pozzi nei posti sbagliati? Non è difficile!”

“It is not a model that works for them”

Impiegando lo stesso tempo che impiega un grillino ad accettare lo sbarco sulla luna, comunque, si fanno un’idea dei problemi del territorio. Lì nessun cittadino benestante è disposto a investire risorse in costruzioni od opere per la scarsa sicurezza. In breve, gli afghani non hanno voglia di andare a farsi ammazzare in mezzo al deserto e questo – secondo gli USA – è la prova che non vogliono davvero la pace.

Così, per dimostrare che loro sanno come si fanno le cose, scoprono che esistono dei signori della guerra. Li contattano e li coprono di soldi perché li proteggano. È un’ottima idea: per un paio di mesi non succede niente, poi arrivano attentati, sparatorie, IED. I signori della guerra vanno dagli americani e spiegano che gli servono più soldi per proteggerli. “Ma chi ci fa gli attentati?” domandano gli americani.
“Chissà, è un mistero” rispondono.
Dopo due mesi il giochetto si ripete.

Tra questi signori della guerra ne spicca uno, tale Sher Mohammad Akhundzada; è governatore della provincia di Helmand dal 2001 al 2005. È un sempliciotto che domina il suo territorio a bastonate e tutto funziona bene, tanto che gli Stati uniti ci lavorano e lo trovano affidabile ed efficace. Nel 2005, una squadra anti narcotici USA fa irruzione nel suo ufficio e ci trovano nove tonnellate d’oppio.

Nove tonnellate.

Lui li incita a farsi i fatti loro, ma gli USA fanno un casino internazionale etichettandolo come simbolo di tutti i mali, così è costretto a dimettersi. Appena se ne va, la provincia diventa uno stato di anarchia dove arrivano tutti gli insurgents possibili, il traffico di droga milluplica in termini di volume e scontri, mentre 3000 ex seguaci di Akhundzaza decidono di arruolarsi nei Talebani perché “hanno perso rispetto per il governo”.

Basta. Serve diffondere tra gli ufficiali un’informativa che spieghi i principi base della psicologia umana, tipo che “umiliare qualcuno è come rubargli una grossa somma di denaro”; del resto, se non parli di soldi, gli americani non capiscono. Di norma questi meccanismi vengono appresi dal genere umano verso i cinque, forse sei anni. Ma qui stiamo evidentemente parlando di una subspecie umanoide che ancora non c’è arrivata e va istruita.

“Capisc, paisa?”

Nella prossima puntata vedremo come gli USA decisero di cambiare le abitudini alimentari, lavorative e sessuali degli afghani, con risultati di inaudita prevedibilità – ma altrettanta allegria.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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