Stipendio base: cos’è, importo e cosa significa. Il valore del CCNL

Pubblicato il 27 Febbraio 2020 alle 15:50 Autore: Claudio Garau

Stipendio base: di che si tratta e cosa vuol dire. Il fondamento costituzionale e la previsione nei contratti collettivi di lavoro.

Stipendio base cos'è, importo e cosa significa. Il valore del CCNL
Stipendio base: cos’è, importo e cosa significa. Il valore del CCNL

Il gergo del diritto del lavoro, dei contratti di lavoro e i termini utilizzati nelle buste paga, non sono sempre di facile interpretazione per chi non è un “addetto ai lavori” e non si occupa quotidianamente di norme, contratti e leggi. Ecco allora che appare necessario chiarire che cosa il legislatore intenda per “stipendio base“. Si tratta infatti di voci che integrano il concetto di retribuzione e che consentono di capire qual è la sostanza economica del rapporto di lavoro e se realmente il datore di lavoro sta rispettando le norme di legge sulla retribuzione.

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Stipendio base: di che si tratta? il fondamento costituzionale

È fondamentale che il lavoratore interpreti e colga il significato di parole come “stipendio base”, anche su un più generale piano socio-economico. Infatti, il diritto del lavoro in Italia mira a trovare un equilibrio tra crescita capitalistica, libertà economica e diritti dei lavoratori (diritto alle ferie, ad un orario proporzionato ecc.). In questo quadro, diventa allora importante che il dipendente riesca a capire quali sono e cosa significano i vari elementi caratterizzanti del contratto e del rapporto di lavoro: tra essi, il concetto di stipendio base. Infatti, l’art. 36 della Costituzione riconosce rilevanza alla “retribuzione” e dispone che ogni lavoratore sia destinatario di uno la stipendio proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e, comunque, sufficiente a garantire a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36, comma 1).

La Costituzione tuttavia si limita a fissare il principio basilare della retribuzione proporzionata e sufficiente, pertanto se vogliamo capire quando una retribuzione è in concreto considerabile tale, occorre guardare altrove. In particolare, sarà necessario fare riferimento ai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), che – nell’ambito di riferimento – regolano quelli che sono i minimi retributivi, ovvero l’importo dello “stipendio base“, sotto al quale non si può scendere, e che va riconosciuto al lavoratore, in rapporto al suo livello di inquadramento.

Pertanto, nei vari CCNL è possibile capire qual è il valore dello stipendio minimo da corrispondere al lavoratore, inquadrato in un determinato livello. È chiaro che lo stipendio minimo previsto per un dirigente o un quadro, sarà sempre e comunque più alto di quello previsto per un impiegato ordinario. In altre parole, i CCNL – sul piano della definizione dello “stipendio base” – costituiscono l’attuazione concreta e pratica del dettato costituzionale di cui all’art. 36 citato. E sulla stessa linea si colloca la giurisprudenza, in quanto sostiene e ribadisce che i minimi retributivi o stipendio-base, previsti nei CCNL, sono il parametro di riferimento per capire quando una retribuzione è realmente proporzionata e sufficiente.

Lo stipendio base può cambiare nel tempo?

Appurato che lo stipendio base è la retribuzione minima per categoria ed inquadramento del lavoratore, secondo il CCNL di riferimento, rispondiamo ora ad un altro quesito. Tale stipendio può variare nel tempo? Certamente sì, esso varia in relazione agli accordi delle parti che sottoscrivono il CCNL, valevole per lo specifico rapporto di lavoro.

Forse non tutti sanno che questo, essendo un contratto, è sottoposto a variazioni ed ha una durata circoscritta nel tempo (di solito non vale più di un triennio). Il punto è nodale: quando il contratto collettivo scade, le parti di questo contratto – vale a dire da una parte i sindacati e dall’altra le associazioni dei datori di lavoro – sono tenute ad incontrarsi per rivedere i suoi contenuti e per effettuare il suo rinnovo per i prossimi tre anni. E non stupirà allora che uno dei principali temi trattati in sede di rinnovo è proprio quello dell’adeguamento e incremento dei minimi retributivi di cui al CCNL.

Pertanto, le parti sociali dovranno tener conto della variazione degli indici economici legati all’andamento dei prezzi dei beni di consumo e, in sede di trattativa per il rinnovo, dovranno ad esso adeguare l’importo dello stipendio base. Per questa via, sindacati e associazioni dei datori tutelano e garantiscono il potere di acquisto del reddito, che può essere definito – in estrema sintesi – come la capacità del dipendente di un’azienda o ente di comprare beni di primo consumo, attraverso il proprio stipendio base. Concludendo, va da sé che nel caso in cui il lavoratore scopra di aver uno stipendio base al di sotto del minimo di cui al CCNL, potrà fare ricorso al giudice del lavoro che, con tutta probabilità, gli darà ragione e imporrà al datore di adeguarsi ai parametri di cui al contratto collettivo.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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