Caso Fca-Repubblica, Provenzano: è conflitto d’interessi

Pubblicato il 19 Maggio 2020 alle 22:47 Autore: Eugenio Galioto

Caso Fca-Repubblica, Provenzano in un post su Facebook: è conflitto di interessi. Il ministro si riferisce a interessi del gruppo per far cadere il governo

Prima pagina de La Repubblica di sabato 16 maggio
Caso Fca-Repubblica, Provenzano: è conflitto d’interessi

Infiamma la polemica esplosa sul caso Repubblica-Fca, con il neo-direttore Maurizio Molinari che avrebbe censurato i giornalisti di Repubblica che nel comitato di redazione parlavano dei 6,3 miliardi di prestiti chiesti allo Stato da Fiat Chrysler (Fca), controllata dal gruppo Exor, proprietario di Repubblica.

Dopo le dichiarazioni del vicesegretario Pd Andrea Orlando che aveva parlato di “attacchi al governo da centri economici e dei media”, alludendo per l’appunto a La Repubblica e a La Stampa, oggi a tuonare contro Repubblica ci ha pensato il ministro Provenzano: “per troppo tempo a sinistra abbiamo pensato che il conflitto di interessi fosse solo Berlusconi. In Italia è conflitto epidemico”.

“In questa discussione pubblica, democratica” che riguarda non solo Fca ma “il rapporto tra lo Stato e le imprese in Italia”, ha scritto il ministro in un post su Facebook, “non si possono ignorare i rapporti di forza“. Il riferimento è proprio al conflitto di interessi di Repubblica nei confronti del gruppo Fca Fiat-Chrysler ed è quanto meno singolare che la critica provenga da un esponente di spicco del governo Conte, per giunta in quota Pd. C’è da ricordare, infatti, che proprio sulla scelta di stanziare fondi per una multinazionale come Fca di cui fa parte la Fiat, ma le cui sedi legali e fiscali non sono in Italia, si è consumato l’ennesimo scontro all’interno della maggioranza. Peraltro, stiamo parlando di una cifra ingente: 6,3 miliardi a fronte ad esempio di 1,4 miliardi per la ricerca e l’Università e i complessivi 16 miliardi a fondo perduto per le Pmi.

Fca, la “censura” di Molinari sui prestiti

La vicenda che non è andata giù a Provenzano riguarda il fatto che domenica 17 maggio, la nuova Repubblica di Maurizio Molinari ha dato spazio a una serie di interventi di endorsement nei confronti del sostanzioso prestito elargito a Fca. E fino a qui, nulla di male. Il problema è che lo stesso direttore si sarebbe rifiutato di dare spazio al comunicato sindacale della redazione che protestava contro la scelta del direttore di dar spazio esclusivamente a interventi consenzienti, senza contraddittorio, venendo meno, dunque, al principio del pluralismo informativo. Già, perché La Repubblica, oltre a La Stampa, è proprietà della holding Exor, il gruppo controllato da Fca. Su Repubblica – è il commento di Provenzano – “ora di proprietà del gruppo di cui fa parte FCA, si giustifica la scelta, compiuta anche da molte altre multinazionali, non solo per vantaggi fiscali offerti da altre legislazioni, ma anche per una linearità del diritto societario che in Italia è difficile trovare”.

Il neo-direttore de La Stampa, Massimo Giannini, invece, ha criticato direttamente Andrea Orlando, definendo le sue “calunnie”, al pari di quelle degli “odiatori di professione di Silvia Romano e Liliana Segre”.

La democrazia non si nutre solo di opinione pubblica, vive nei rapporti di forza” – ha dichiarato Provenzano, ribadendo le parole di Andrea Orlando. “Oggi il tema è ancora più attuale, per la concentrazione proprietaria dei mezzi di informazione“, la radice del conflitto d’interessi appunto (ndr). Per questo, “è inaccettabile” chi, come il direttore Giannini, “liquida questo tipo di riflessioni accostandole al vergognoso gorgo degli attacchi sguaiati rivolti a Silvia Romano o alla senatrice Segre, oppure tenta di ridicolizzarle parlando di Unione Sovietica o “populismo economico”. E chiosa: “non possiamo permetterci di cambiare argomento, tutte le questioni poste richiamano grandi principi liberali. Ma troppi liberali italiani se lo dimenticano”.

Provenzano: “in gioco non solo questione indipendenza mezzi di informazione”

La stoccata sull’indipendenza dei mezzi di informazione serve anche a smascherare presunti interessi da parte di holding economiche e dei “monopoli” mediatici affinché si realizzi un cambio di maggioranza (un esecutivo di solidarietà nazionale “Draghi”, come da tempo prospettato?) “Se lo Stato partecipa al funzionamento di un’impresa – chiarisce Provenzano, sulla scia di quanto detto da Orlando – allora è giusto che questa – in piena autonomia – fornisca delle garanzie occupazionali, sociali e, più generalmente, democratiche oltre che sul mero rimborso dei prestiti”. Nei vari decreti sono previste “alcune condizionalità”, dunque “la questione è come attuarle, prevedendo condizioni specifiche, per grandi prestiti a grandi multinazionali”. Perché “Fca infatti oggi non è (più) un campione industriale italiano ma una multinazionale con investimenti in tutto il mondo, sede fiscale a Londra e legale in Olanda”. E, cosa ancora più rilevante, “nessuno, al di fuori di alcuni alti dirigenti dell’Agenzia delle Entrate e del management internazionale di Fca, conosce con esattezza come sono distribuiti i profitti delle varie filiali e come ripartisce il carico fiscale nei vari paesi in cui opera”.

Country by country report, dumping fiscale e le garanzie chieste a Fca

La questione non sarebbe rilevante solo per l’Italia, giacché “a livello europeo è bloccata (per l’opposizione di alcuni paesi, tra cui quelli in cui Fca ha trasferito le sue sedi) ormai da qualche anno una direttiva che renderebbe obbligatoria la pubblicazione dei ‘country by country report’”. Considerando che tale pubblicazione attualmente non è obbligatoria ma lo diventerà nei prossimi mesi, non sarebbe il caso – chiede retoricamente Provenzano – che Fca agisse per “senso civico” e “buona volontà” autonomamente per rendere il report pubblico e condiviso con il governo? “Sappiamo tutti benissimo quali e quanti siano gli investimenti dell’azienda nel nostro paese e quanto contribuisca (pure sul fronte fiscale) al funzionamento della nostra economia. Ma dall’annuncio di ‘Fabbrica Italiàè mancato un dibattito su quanto sia stata attuata e quanto si dovrà attuare alla luce dei mutamenti societari e di mercato. Non possiamo permetterci nuovi errori, lo dobbiamo agli imprenditori che investono in questo Paese senza volare a Londra o Amsterdam”. Parole, queste, che hanno ricordato l’intervento di Romano Prodi dall’Annunziata, quando ha sottolineato che “Fca non è più una impresa italiana” e che “è assolutamente legittimo finanziarla ma occorrono garanzie”. Per giunta, sarebbe in corso – ha ricordato Provenzano – “una complessa operazione di fusione con la francese Psa” ed è dunque “essenziale capire il ruolo dell’Italia all’interno del perimetro del gruppo. Anche questo richiede adeguate garanzie“. Il Ministro ha poi concluso ricordando il ruolo della Fiat in Italia (e dello Stato per la Fiat degli Agnelli): “la Fiat è un pezzo di storia di questo Paese e il suo allontanamento dall’Italia è una ferita e ha segnato una sconfitta industriale di cui solo ora iniziamo a intravedere le conseguenze. Non possiamo permetterci nuovi errori. Lo dobbiamo agli italiani – che con le loro tasse finanzieranno questi prestiti – e ai tanti imprenditori, non solo piccoli e medi, che ogni giorno lavorano e investono per rafforzare questo Paese. Senza volare ogni settimana a Londra o Amsterdam”. Parole dure, queste, che rivelano come se da un lato il fronte di Fca ed Exor (Repubblica, La Stampa) sia compatto e proceda a colpi di cannone contro un governo giudicato troppo “timido” nel perseguire gli interessi degli industriali, dall’altro nella maggioranza serpeggiano malumori, con Renzi e il M5S schierati sempre più su posizioni inconciliabili e il Pd al centro a tenere in equilibrio la stabilità del governo.

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L'autore: Eugenio Galioto

Sociologo, un passato da ricercatore sociale e un presente da analista politico. Scrivo principalmente di economia e politica interna. Amo il jazz, ma considero l'improvvisazione qualcosa che solo i virtuosi possono permettersi.
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