Libia, l’Italia in mezzo al guado

Pubblicato il 31 Marzo 2011 alle 21:54 Autore: Francesca Petrini
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A tale riguardo, non sembra del tutto disinteressato il ruolo di primo piano svolto nelle vicende di questi ultimi giorni dalla Francia di Sarkozy. La “fuga in avanti” nella crisi libica, dopo 8 anni di distanza dal veto posto da Parigi all’azione unilaterale americana in Iraq, sembra infatti strettamente legata a ragioni di politica interna: anzitutto le elezioni generali programmate per il 2012 ed il calo della popolarità di Sarkozy nei confronti dei rivali nella corsa all’Eliseo. Dopo aver vinto nel 2007 conquistando l’intellighenzia di sinistra ma anche il voto di destra, Sarkozy, minacciato da destra sia da Marine Le Pen che da Dominque de Villepin, necessita oggi di un rilancio d’immagine. In secondo luogo, se una volta le relazioni con il Colonnello erano buone al punto da consentire la vendita di aerei Mirage da parte francese, sono seguite fasi più tese, in particolare per la lunga guerra in Ciad e per la rivalità delle politiche di influenza in Nord Africa e nella regione del Sahara. Dunque, “sconfitta” diplomaticamente rispetto alle vicende di Egitto e Tunisia e attualmente alla presidenza del G20 e del G8, la Francia sembra voler riaffermare la propria influenza economica e politica nel Nord Africa, ponte per il controllo dell’Africa centrale: Sarkozy ha infatti tentato di incentivare la creazione dell’Unione per il Mediterraneo, co-presieduta insieme all’ex presidente egiziano Mubarak e subito avversata da Gheddafi, e ha pure sostenuto il governo di Ben Ali nei primi momenti della rivolta.

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Passando ora al piano più strettamente interno, è noto ormai che i rapporti Italia-Libia si siano fatti sempre più stretti dopo la firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione”, punto di approdo di un lungo lavoro politico-diplomatico nonché atto di riconoscimento della responsabilità storica dell’Italia verso la Libia in virtù del passato coloniale. Tale atto internazionale vorrebbe pure costituire un rilevante contributo all’apertura della società civile libica e al dialogo con il mondo arabo e una risposta alle sfide poste dalla governance mediterranea, sotto i profili congiunti della sicurezza interna delle nazioni, della pacifica convivenza dei popoli, della sicurezza energetica, dei movimenti migratori e della tutela dei beni culturali. Il punto è che fino ad oggi, la materia su cui le parti in gioco sembrano aver collaborato maggiormente è quella relativa al fenomeno dell’immigrazione, soprattutto al fine di prevenire i flussi migratori clandestini nei e dai paesi di origine. E ci si domanda in che termini, allora, visto che l’immigrazione clandestina è notoriamente controllata da organizzazioni criminali, che gestiscono dalle coste libiche gli imbarchi di migliaia di migranti provenienti da varie aree del continente africano (in prevalenza da regioni e Paesi interessati da conflitti armati o oppressi da regimi autoritari quali il Ciad e il Darfur), con drammatici costi in termini di perdite di vite umane a causa delle condizioni di viaggio e dei casi non infrequenti di abbandono in mare. A fronte della persistenza e della gravità, anche sul piano umanitario, di questi fenomeni, e nonostante il trattato di amicizia e lo stretto legame tra Berlusconi e Gheddafi, non è stata infatti mai attivata alcuna forma sistematica di controllo sugli imbarchi e di monitoraggio satellitare delle rotte marine utilizzate per il traffico di migranti.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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