Lusi arrestato, come ne escono i partiti

Pubblicato il 27 Giugno 2012 alle 13:12 Autore: Matteo Patané
senatore lusi

L’utilizzo della votazione a scrutinio palese, sottoponendo gli eletti a mostrare la popria opinione in modo evidente e verificabile, viene spesso contestato in quanto pone un vero e proprio vincolo di mandato, da cui i parlamentari sono costituzionalmente esenti. Tale argomentazione, tuttavia, è completamente fuorviante se si pensa che in realtà la difesa dal vincolo di mandato è stata introdotta in Costituzione per tutelare i parlamentari dalle pressioni dei partiti, e non certo da quella dell’opinione pubblica, a cui gli eletti del popolo devono sempre e in prima persona rendere conto.
Considerando poi che il mero funzionamento meccanico delle istituzioni poco si cura delle motivazioni attraverso cui si giunge ad un determinato risultato, si può ben dire che la strada intrapresa dalla votazione sul caso Lusi è stata una vittoria per la trasparenza offerta dalla legislazione del Paese.

senatore lusi

Entrando nel dettaglio dei singoli gruppi parlamentari, si nota come l’intera Aula, ad eccezione di CN e PdL, abbia votato a favore dell’arresto, passando dal gruppo dell’IdV presente al gran completo e arrivando ad una Lega Nord che riscopre la propria anima giustizialista, senza trascurare il gruppo del PD di cui Lusi faceva parte fino a non molto tempo fa e quello Per il Terzo Polo di cui fa parte l’ApI, il partito di Rutelli, segretario di quella Margherita di cui Lusi era tesoriere.

PdL e CN hanno scelto una strada piuttosto ambigua, quella dell’uscita dall’aula: non un voto chiaro contro o a favore, non un’astensione che in Senato ha quasi la forza di un voto contrario, ma l’abbandono stesso del voto, con l’effetto di far scendere da un lato la soglia necessaria per l’approvazione della mozione, dall’altro un pericoloso abbassamento dei presenti intorno al limite del numero legale. I pochi esponenti dei due gruppi rimasti in aula si sono poi schierati compattamente contro l’arresto, con l’eccezione di Centaro (CN).

La decisione del PdL, naturalmente, è stata di natura squisitamente politica, al di là delle dichiarazioni di facciata che volevano nell’abbandono dell’aula il desiderio di non entrare in gioco delle vendette interne al centrosinistra.
Il PdL giocava sicuramente in difesa, dopo le fibrillazioni legate all’impossibilità di far passare il voto segreto, sulla propria capacità di esprimere o meno una posizione unitaria: l’uscita dall’aula ha evitato di mostrare eventuali, probabili, spaccature nel partito. Ma è chiaro che quella del PdL era soprattutto una strategia di attacco, per due fattori.
Un primo cavallo di troia poteva consistere nell’abbassamento della soglia al di sotto del numero legale: considerando i senatori in missione, infatti, il numero legale scendeva a 155 membri. Appena 14 in meno rispetto a quelli rimasti in Aula. Su questo numero si consuma una frattura importante tra PdL e la nuova Lega di Maroni: i 16 membri della Lega, infatti, sarebbero stati sufficienti per portare l’Aula sotto la soglia fatidica e rimandare la votazione, ma la formazione padana, con ogni probabilità desiderosa di rifarsi una verginità agli occhi del proprio elettorato, ha in questo caso abbandonato il PdL al proprio destino.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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