Dal blog: chi c’è dentro il Movimento 5 Stelle?

Pubblicato il 3 Novembre 2012 alle 20:09 Autore: TP Blog
Movimento 5 stelle

Come si evince dal caso delle Province, il ripudio dell’amministrazione della cosa pubblica è cominciato quando i partiti, quasi da sempre, hanno preso a nutrirsi solo della loro esistenza. Hanno selezionato classi dirigenti a cui dicevano che l’elemento più importante era il voto, l’elezione, le relazioni con le componenti più potenti della società, non in nome di una dialettica democratica ma unicamente attraverso l’inchino, il lobbismo, i rapporti di dare/avere e l’utilitarismo.

La questione delle così dette “caste” ha ormai travalicato gli odiosi elementi economici (“questi guadagnano troppo e hanno privilegi eccessivi”) palesandosi, piuttosto, come un problema di potere, accumulazione e sopravvivenza di esso. I partiti hanno creduto che formare i dirigenti fosse una meta cinica, dove i più forti, in virtù (spesso) di oliati sistemi, meccaniche di scambio e apparentamenti più o meno oscuri con le criminalità organizzate, diventano coloro in grado di portare tessere, voti, radicamento sul territorio, insopportabile perifrasi dietro la quale si cela il clientelismo, i favori, le tangenti, la mafia. Da ciò è conseguito l’aver aperto le porte dei partiti a personaggi capaci di attrarre voti e soldi a scapito della trasparenza, della preparazione, della voglia di studiare i problemi.

cubo di RubickIn questo scenario, condito da macchine burocratiche, statali e locali, degne di un cubo di Rubik da non consentire velocità ed efficacia alle idee vogliose di materializzarsi in provvedimenti attuativi e reali, Beppe Grillo ha fondato la sua retorica della denuncia partita dagli anni Novanta e strutturatasi nei successivi anni zero del Duemila. Ha urlato, ha insultato, ha fatto della parola greve una cifra stilistica. Talvolta è risultato volgare ma ha avuto il merito, da uomo libero, di dire la sua. E in un Paese affettato, sterile e appiattito come il nostro, già questa è un’impresa di non poco conto: affermare una parola che non sia quella massmediale e mediata a cui il cittadino italiano si è da anni avvinto.

Vero, molti di quelli che si sono avvicinati al Movimento non l’avrebbero fatto se non mossi da indignazione. Ma è un morbo così tremendo l’indignazione? Un male essere capaci di avere un sommovimento quando attorno a sé si vede ingiustizia sociale, mancanza di equità, il blocco perpetuo della scala sociale ecc.? Male sarebbe fermarsi al momento del malcontento (eternamente giusto se giustificato), male sarebbe far sfociare questi rivoli in fiumi di rabbia sociale, paramilitare e chincaglierie et similia (vedi in Grecia, Olanda, nella civilissima Finlandia, tanto per citarne alcune, dove il terreno dell’indignazione è stato occupato da croci uncinate, xenofobia e disprezzo della democrazia) e, ancora, male sarebbe rinchiudersi in presuntuose prese di posizione individualiste dove da una parte ci sono io, intelligente acuto e capace di discernere il bene dal male, e dall’altra quella teppaglia dei partiti e dei menefreghisti, arruffoni cittadini che li votano solo per un interesse particolaristico di guicciardiniana memoria, o più prosaicamente per ragioni attinenti al sempre in voga “tengo famiglia”.

Chi fa parte del Movimento ha deciso invece di far parte della democrazia, non solo con la protesta e il dissenso, sacrosanti diritti che la stessa, per dirsi tale, deve garantire ai suoi cittadini, ma cercando di dare forma a quella forza vitale, impetuosa e non corruttibile, chiamata impegno civile.

Intendiamoci bene: non si vuole con questo sussumere che i “grillini” (questo è il nome spregiativo che si dà loro) sono martiri in nome del civismo, francescani col saio, individui disinteressati che agiscono solo in nome della propria etica, che pure deve esistere in chi fa politica. No, coloro che si impegnano lo fanno perché il nostro Paese ha più di duemila miliardi di debito pubblico, è in recessione, e anche quando non lo era viveva di crescita stantia, non ha concorrenza, è inzuppato di compromessi morali e corruzioni di ogni genere e tipo e, forse, è lo Stato europeo dove maggiormente le varie rendite di posizione sembrano irremovibili a svantaggio di una libera gara anche tra chi non vive di patrimoni e raccomandazioni. Ecco perché si possono considerare altamente offensive le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando, all’indomani della vittoria di Parma, delegittimò il Movimento irridendolo con una battuta di disprezzo. Napolitano, che mai si era permesso di attaccare una forza politica, in quell’istante ha preso in giro eletti ed elettori che non hanno brutalizzato una città (come Alba Dorata in Grecia) ma che, con rispetto e osservanza delle regole, hanno partecipato alla competizione democratica.

(per continuare la lettura cliccare su “4”)