La partita dei simboli elettorali: come finirà?

Pubblicato il 14 Gennaio 2013 alle 19:09 Autore: Gabriele Maestri
simboli elettorali

Quanto al M5S, avrà tutela nei confronti di almeno altri due simboli elettorali presentati in seguito – 5ª Fabiola Stella e Voto di protesta – che probabilmente dovranno essere maggiormente differenziati (magari togliendo nel secondo caso la dicitura BEPPEciRILLO.it, riferita a un dominio non esistente); non sarebbe confondibile stavolta, invece, il contrassegno di No Euro – Lista del grillo parlante (modificato nel 2008, quando Beppe Grillo ancora non era vicino alla politica), poiché già ora riporta la dicitura «Grilli» ammessa nella consultazione precedente. Non è un simbolo strettamente “clonato” – in questa tornata non è presente l’emblema di An – ma non dovrebbe essere ammesso il Msi-Dn di Gaetano Saya, non potendo dimostrare la continuità con il partito di cui imita quasi servilmente l’emblema.

La norma già vista sul divieto di impedire surrettiziamente l’uso di un simbolo all’avente diritto dovrebbe tutelare – e con più precisione, poiché ci si riferisce all’uso di un cognome – anche i simboli elettorali legati a Mario Monti, che aveva pubblicizzato il proprio simbolo e dev’essere messo in condizione di usarlo. L’emblema presentato prima dei suoi non è graficamente confondibile, non si può impedire a Samuele Monti di usare il proprio patronimico nel simbolo, ma gli si potrà chiedere di inserire pure il nome, per chiarezza. Desta poi perplessità la scelta della Lega Nord di inserire nell’emblema la “pulce” di 3L, il partito di Tremonti, indicando questi come «TreMonti»: si avrebbe una confondibilità, che forse non sarà contestata perché il dettaglio sulla scheda sarà quasi invisibile.

Più incerto il caso dei “pirati”: l’ordine di deposito tutelerebbe il Partito pirata di Marco Marsili (quello col jolly rodger), già presentatosi alle elezioni amministrative con quel logo. Nella bacheca del Viminale tuttavia sono finiti anche un non meglio precisato Movimento pirata e il Partito pirata che rivendica la propria originalità (è stato fondato nel 2006) e dalla sua ha due ordinanze cautelari del tribunale di Milano che inibiscono a Marsili (a pena di sanzioni) l’ulteriore uso del nome «Partito pirata» o della bandiera nera. Queste pronunce non aiutano i Pirati-teschio e la partecipazione a elezioni locali non preclude eventuali “bocciature” del segno; pesa però il fatto che i Pirati “ufficiali” non abbiano partecipato a precedenti elezioni e che le pronunce civili, per di più non di merito, difficilmente siano considerate in tema di simboli elettorali, retto da una disciplina specifica.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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