Il PD è in un “cul de sac”

Pubblicato il 5 Marzo 2013 alle 16:12 Autore: Gianluca Borrelli

Bisognava quindi permettere a Renzi di candidarsi col PD, lasciando che anche altri partiti ovviamente partecipassero alle primarie di coalizione, magari un centrista (Tabacci) e possibilmente una donna, che fa tanto politically correct, come la Puppato, che, come la nostra Teresa Cardona notò, apparve come una candidatura che non sembrava essere quella delle donne del PD, bensì la candidatura di una donna che si era trovata lì ed aveva colto una opportunità di inserirsi nella contesa portando un tocco “rosa” ma senza portare altro nella sostanza che la sua identità di genere.

Tutto questo diversificare l’offerta serviva appunto a rendere la competizione inclusiva per farla essere un successo, ma ben presto gli strategist di Bersani gli fecero notare che se l’affluenza alle urne delle primarie fosse stata troppo alta (tipo oltre i 4 milioni come con Prodi nel 2005) ci sarebbe stato il rischio che al primo turno vincesse Renzi.

Per blindare il risultato servivano quindi 2 cose:

1) Il doppio turno, in modo da convogliare nel secondo turno i voti di Vendola verso Bersani.

2) Una serie di regole che impedissero la partecipazione a chiunque non fosse militante o non si riconoscesse identitariamente nel PD.

Per realizzare il punto 2) servivano regole bizantine, una distribuzione “intelligente” dei seggi – in modo da creare code lunghe in determinate zone. Solo quelli che davvero si sentivano di sinistra ed erano motivatissimi dovevano andare a votare.

Come spiegare altrimenti il fatto che l’albo di chi andava a votare per le primarie dovesse essere reso pubblico? Una violazione della privacy talmente grossa e incostituzionale, oltre ad essere autolesionista, da avere un solo scopo: cercare di fare andare a votare solo chi si identificava da sempre con la coalizione di centrosinistra al punto da fare lunghe file e permettere che il suo nome, come sottoscrittore della mozione Italia Bene Comune e come elettore del centrosinistra, potesse essere pubblico senza violazione di alcuna privacy. Se uno è già militante da una vita che problemi ha a fare pubblicare il suo nome? (un po’ darebbe fastidio comunque a molti, ma quello che si cercava di ottenere era scoraggiare fortemente il voto di chi non era un elettore di sinistra ma che magari questa volta guardava con interesse queste primarie.

Il fatto poi che si dovessero mettere un sacco di firme e che le operazioni di voto fossero così farraginose ha fatto vergognare più di un militante, ma la scelta da forzare era quella identitaria, ovvero di Bersani contro Renzi. Bisognava fare vincere a qualsiasi costo chi portava il “profumo di sinistra”.

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L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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