La Manovra lascia il difficile al prossimo governo

Pubblicato il 6 Luglio 2011 alle 07:00 Autore: Lorenzo Newman

Su 47 miliardi di tagli alla spesa, 40 sono da effettuare durante la prossima legislatura. Mercati e istituzioni ci credono.

Eppure lo spread non è schizzato. È diminuito (vedesi il grafico sottostante tratto da Bloomberg; la line rossa rappresenta il 10 Luglio quando Tremonti spiega pubblicamente i dettagli e la tempistica della manovra). Il Presidente dell’Euro-gruppo Jean-Claude Juncker ha parlato pubblicamente di un‘Italia che non è a rischio di contagioItaliaFutura l’ha definita una manovra non ottima ma che adempiva al “minimo sindacale”. Mario Monti si è detto soddisfatto. Il Presidente della Repubblica ha parlato di una Manovra che rispetta le linee guida dettate dall’Europa.

Lasciare in eredità i dolori della vera austerity al prossimo governo, seppur un atto cinico, è politicamente astuto. Ma se sembra a prima vista l’esatto contrario di astuzia economica, la reazione istituzionale, nonché quella dei mercati, sembrerebbe voler indicare che questa procrastinazione abbia anche un senso economico.

A riguardo bisogna rivedere bene le parole di Napolitano. Il Presidente della Repubblica si riferisce a un Documento UE fatto circolare a Aprile che chiedeva molto chiaramente che i tagli in Italia fossero spalmati su diversi anni. In effetti proprio questo ha fatto Tremonti, anche se in maniera palesemente sproporzionata verso la prossima legislatura.

Eppure, come nota lo stesso Monti in un editoriale sul Corriere, il momento richiedeva un atto di coraggio per dare fiducia ai mercati finanziari. Ma forse troppa intraprendenza può essere pericolosa. Tralasciando le considerazioni politiche, è giusto che si aspetti che riprenda la crescita del paese prima di tagliare la spesa pubblica. Sempre più economisti sostengono infatti che paesi quali l’Irlanda e il Regno Unito siano stati troppo veloci a diminuire la spesa, compromettendo una vera ripresa economica. Dopo tutto, ricorda lo stesso Monti, il debito pubblico viene calcolato come proporzione del PIL. Se il PIL cresce, il debito diminuisce.

Apparirebbe infatti che le istituzioni, le agenzie di rating (cosi minacciose nei nostri confronti di recente e ora di nuovo silenziose) abbiano preso sul serio la promessa di mettere in regola la situazione fiscale del paese dopo il 2013. Ma più che un’attestato di fiducia nel governo attuale sembra un’espressione di speranza nel prossimo esecutivo.

L'autore: Lorenzo Newman

Patito di policy. Nasce a Roma nel 1988. Laurea in Economia e Scienze Politiche al Trinity College di Dublino. Attualmente sta conseguendo un Master in Economia dello Sviluppo alla London School of Economics. Ama follemente la Roma e le donne in politica.
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