La destra e quell’anomalia tutta italiana

Pubblicato il 24 Maggio 2013 alle 16:04 Autore: Maurizio Belli

La democrazia interna è pari a zero: congressi e assemblee di partito dallo stile nordcoreano, con il (caro) leader confermato ciclicamente per acclamazione, e caratterizzate da assenza di pluralità, di dibattito e confronto vero tra posizioni politiche diverse. Di primarie, o comunque di meccanismi democratici di selezione del candidato premier e dei parlamentari, nemmeno l’ombra: chi ha timidamente provato a proporsi, vedi l’eterno delfino Alfano prima delle ultime elezioni, è stato costretto a tornare alla base con la coda tra le gambe e a sostenere l’ennesima discesa in campo del Cavaliere, mentre la palla della scelta dei candidati rimaneva nelle mani del triumviriato berlusconiano Verdini-Cicchitto-Bondi, e dei vari Ras locali di comprovata fiducia alla Nitto Palma o alla Nicola Cosentino.

Neppure a livello di elaborazione ideologica-politica abbiamo assistito a un’evoluzione. La proposta politica del centrodestra italiano rimane sostanzialmente quella che fece la fortuna di Forza Italia dal 94 in poi: un mix di liberismo, antistatalismo e populismo, infarcito della consueta polemica antigiustizialista e anticomunista; una proposta che, alla faccia di chi aveva già prepensionato il berlusconismo come filosofia politica fallimentare, continua ad attrarre i voti di tanti italiani.

Al di fuori del Pdl, di destre alternative, con proposte politiche diverse, innovative, moderne, non c’è traccia. Negli anni il Cav. ha divorato con bulimica voracità quel che del centrodestra era rimasto fuori da Forza Italia: ha abilmente attratto nella sua orbita Alleanza nazionale, inglobandone larga parte dell’elettorato ex missino e degli uomini più rappresentativi, e rottamandone le istanze neofasciste più indigeribili per l’elettorato moderato; ha addomesticato la Lega, trasformandolo dal movimento grezzo e difficilmente domabile qual’era in fedele e stabile alleato di governo. Dal “catch all party” azzurro sono rimaste fuori le briciole, partitini di destra a percentuali dello zero virgola. E chi, da destra, ha provato a mettersi di traverso e a sfidare il gran Capo (per ambizioni personali, sia chiaro), come Gianfranco Fini, ha pagato caro, costretto all’esilio prima ed all’estinzione politica poi. Non ha ammesso né ammette sfidanti aperti, il Cavaliere: un controllo totale che si basa su di un granitico consenso politico-elettorale personale, garantitogli da un elettorato mediaticamente fidelizzato, motivato più dalla “pancia” che dalla testa e pronto a seguirlo fino alla fine. Eppure, oggi più che mai, alla destra italiana mancano nuovi protagonisti e nuovi volti, ma soprattutto nuove idee e nuove proposte che vadano oltre il berlusconismo, perché nonostante sia pur sempre uno dei protagonisti della politica italiana, Berlusconi è comunque un leader sul viale del tramonto, quanto meno per l’età anagrafica. E invece, mentre le destre europee si evolvono, mutando non solo nomi e simboli, ma anche protagonisti, ideologie e proposte politiche, il centrodestra italiano rimane ostaggio del berlusconismo, di quella “rivoluzione liberale” promessa e cento volte tradita. Un ostaggio che sembra soffrire della sindrome di Stoccolma, volontariamente e disperatamente aggrappato al suo unico leader “sequestratore” per non sparire, e che non si accorge di quanto questo eterno procrastrinare il cambiamento lo sta già danneggiando. Resta oggi difficile dire chi o cosa, quando Berlusconi gli darà l’addio, ne prenderà il posto.

 

L'autore: Maurizio Belli

Aspirante giornalista nato ventisette anni fa a Firenze, e quindi polemico di natura. Ideatore e autore del sito di satira politica e sociale www.divisivo.it
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