Studio Confindustria “persi più di cinquecento mila posti di lavoro”

Pubblicato il 5 Giugno 2013 alle 13:17 Autore: Francesco Di Matteo
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Secondo uno studio di Confindustria è crisi profonda. Persi più di cinquecento mila posti di lavoro negli ultimi anni.

La disoccupazione dal 2007 è continuamente aumentata, la situazione economica degli italiani è peggiorata di molto e, secondo il governatore di Bankitalia Visco, siamo tornati indietro di 25 anni. A confermare questo dato, ora, arriva anche il centro studi di Confindustria che dipinge uno scenario apocalittico.

Secondo Luca Paolazzi, direttore del centro studi di Confindustria, tra il 2007 e il 2013 in Italia si sono persi 539mila posti di lavoro “superando il precedente record di -490mila posti di lavoro tra il 1990 e il 1994 e insidiando il record assoluto di -724mila tra il 1980 e il 1985”.

Negli ultimi anni, secondo il rapporto di Paolazzi, il numero di occupati è sceso del 10% e, come già annunciato nell’ultimo rapporto OCSE, nei prossimi mesi la situazione peggiorerà con un ulteriore aumento della disoccupazione.

Complice di questo genocidio di posti di lavoro sono le due dure recessioni che si sono susseguite negli ultimi 6 anni. Secondo lo studio, però, le imprese, artigianali per lo più, non hanno seguito un processo di razionalizzazione della produzione per tornare produttive, ma hanno semplicemente tagliato i costi per cercare di restare a galla. Sforzi, però, che non sono riusciti a più di 50mila imprese che sono fallite in questi anni.

La crisi, però, insidia per la prima volta anche la potenza industriale e produttiva dell’Italia. Infatti, il Paese ha visto una contrazione delle attività produttive dell’8.3% e una distruzione del 15% della base produttiva, con punte del 40% soprattutto nel settore automobilistico, e cali di almeno il 20% in 14 settori su 22. Questa situazione, però, non dovrebbe mettere a rischio il posizionamento come settima potenza industriale mondiale, per ora.

Negli stessi anni, la Germania ha visto un aumento della produttività del 2.2%, mentre in condizioni simili a quelle dell’Italia versa l’impianto produttivo di Francia e Spagna. Complessivamente, quindi, l’Italia negli ultimi 6 anni ha perso il 25% della produzione industriale, con picchi molto maggiori in alcuni settori, e l’8.6% del PIL rispetto ai valori massimi pre-crisi.

Nel rapporto, poi, vi è un chiaro segnale alle istituzioni. Infatti, vi è un passaggio dove si dice che per riattivare la produzione non serve un semplice rilancio della domanda, ma bisogna “rigenerare una bella fetta della capacità produttiva del Paese”.

La crisi è sofferta per lo più dalle piccole e medie imprese, ma anche le grandi aziende sane stanno avvicinandosi ad una situazione di pericolo. Negli anni i settori più colpiti sono stati l’abbigliamento (-25%), la farmaceutica (-27.7%), la pelletteria (-25.3%), e il tessile (-26.7%), ma sono state colpite fortemente anche il settore alimentare e l’industria del metallo.

“Lo sviluppo industriale arriva solo se è perseguito con determinazione dalle politiche economiche”. E’ quanto si legge nel rapporto, facendo trasparire una sostanziale insoddisfazione per le politiche economiche e di sostegno all’economia portate avanti negli ultimi anni. Inoltre, parlando anche di altri Paesi, il rapporto fa notare come i Paesi emergenti abbiano occupato grandi fette di mercato ma l’Italia, “nonostante sia la settima potenza mondiale, seconda in Europa dopo la Germania” ha avuto il calo maggiore.

giorgio squinzi presidente confindustria

giorgio squinzi presidente confindustria

L'autore: Francesco Di Matteo

Napoletano classe '92. Laureato in Scienze Politiche e delle relazioni internazionali alla Federico II di Napoli nel 2014, è appassionato di giornalismo e in particolare di politica, di analisi politica e di Scienza Politica, in generale. Tesserato a Libera, in passato ha ricoperto la carica di Coordinatore Regionale a livello giovanile nell'Italia dei Valori (2012). Cofondatore dell'associazione Agorà - Lavoro, Partecipazione e Libertà. Attualmente collabora anche con "Il Roma" ed è co-fondatore della testata indipendente "Libero Pensiero".
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