Turchia e Unione Europea si scontrano sul gas del Mediterraneo Orientale

Pubblicato il 22 Maggio 2020 alle 12:01 Autore: Rodolfo Fabbri

Non si è fatta attendere la risposta della Turchia alla dichiarazione congiunta di giovedì scorso dei ministri degli esteri dell’Unione Europea, con cui si chiedeva ufficialmente ad Ankara di “rispettare la giurisdizione marittima dei Paesi dell’Unione e la sovranità in acque internazionali”. Ersin Tatar, primo ministro della “Repubblica Turca di Cipro” (entità controllata de facto dalla Turchia, unico Stato mondiale a riconoscere il governo della parte nord dell’isola) ha risposto che “le dichiarazioni dei ministri europei sono una violazione della legge e dimostrano nuovamente la mancanza di visione dell’Unione Europea, per via dell’approccio pro-greco cipriota e del continuo ignorare i diritti dei turco-ciprioti e della Turchia”.

Materia del contendere sono i ricchi giacimenti di gas scoperti negli ultimi anni nel Mediterraneo Orientale, di cui alcuni ricadono nella zona economica esclusiva di Cipro. L’isola è però divisa in due parti sin dalla guerra del 1974, con il sud greco-cipriota membro dell’Unione Europea e il nord turco-cipriota controllato da Ankara. Il governo turco ritiene che alcuni dei giacimenti, tra cui quelli dati in concessione da Nicosia all’italiana Eni e alla francese Total, ricadrebbero nella zona economica esclusiva di Cipro Nord e conseguentemente della Turchia, sebbene questi si trovino di fronte alle coste di Larnaca, internazionalmente riconosciute come appannaggio di Nicosia. Per questo motivo, Ankara non riconosce tali contratti e ha più volte inviato navi militari nella zona alla ricerca di nuovi giacimenti. La situazione è seria, tanto che in passato la Francia ha ritenuto di inviare la portaerei Charles De Gaulle a difendere gli interessi di Total.

Il governo greco-cipriota di Nicosia, supportato attivamente solo dalla Grecia, ha minacciato l’Unione Europea di porre il veto su qualsiasi prossimo ingresso di un nuovo Stato membro se questa non avesse attivamente preso posizione in sua difesa. Per tale ragione, l’UE ha nello scorso luglio comminato delle sanzioni alla Turchia, comprendenti il taglio di una parte dei contributi che le spetterebbero in quanto Stato candidato all’adesione nell’Unione (sebbene questa sia sempre più lontana).

All’interno di questa partita si inserisce quella più ampia dell’approvvigionamento di gas dei Paesi europei. La costruzione del gasdotto “EastMed”, che da Israele e Cipro porterebbe il gas del Mediterraneo Orientale in Italia e da qui in Europa, è considerata positivamente da Bruxelles, anche per allentare la dipendenza dalla Russia, dalla quale oggi l’Europa importa circa il 40% del gas di cui ha bisogno. Questa possibilità taglierebbe fuori anche la Turchia, che è uno dei Paesi attraverso cui passa il gas russo diretto in Europa. In tale chiave va anche letto il supporto militare fornito da Ankara alla fazione libica di Fayez al-Serraj, in cambio di una ridefinizione delle rispettive zone economiche esclusive nel Mediterraneo. Grazie a questo accordo, il governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite e la Turchia avrebbero degli appigli legali per fermare il gasdotto EastMed, che dovrebbe passare attraverso la zona economica esclusiva libica.

La questione è dunque molto complessa, anche considerando i numerosi dossier che legano l’Unione Europea alla Turchia, primo tra tutti quello dei migranti siriani. Ankara è infatti tutt’oggi pagata da Bruxelles per tenere i rifugiati nei propri campi profughi e questi sono spesso usati da Erdogan come arma di ricatto, nell’ambito di una politica estera sempre più spregiudicata.