Repubblica, quell’appello è un segno d’impotenza.

Pubblicato il 21 Settembre 2010 alle 13:59 Autore: Fabio Chiusi
Repubblica, quell’appello è un segno d’impotenza.

C’è da scommetterlo: l’appello di Repubblica per chiedere a Berlusconi di rinunciare a ogni sorta di scudo giudiziario sarà un successo. Già adesso, in meno di un’ora, ha raccolto duemila firme, e la diffusione “virale” dell’iniziativa ne consentirà il moltiplicarsi in un batter d’occhio. Del tutto condivisibile anche il merito della questione, a meno che non si voglia credere al teorema del complotto giudiziario ai danni del Premier. Io, mettendo in fila gli argomenti e l’evidenza, non posso che optare per un uso personale, e sempre più spregiudicato, delle Istituzioni da parte di Berlusconi. Come confessato dall’avvocato-deputato Ghedini, il Premier preferirebbe trovarsi in una situazione di “primus super pares”. Tradotto: la legge è uguale per tutti, ma non necessariamente la sua applicazione”. Giusto quindi il richiamo di Repubblica all’articolo 3 della Costituzione.

Eppure qualcosa non mi convince. Prima di tutto, quale reale possibilità di successo ha una simile raccolta firme? E’ pensabile che qualcuno, a Repubblica, tra i suoi lettori o semplicemente tra chi sia d’accordo con l’appello, ipotizzi che Berlusconi rinunci davvero a chiedere per sé un lodo Alfano costituzionale, un altro “legittimo impedimento” o qualunque altra forma di scudo giudiziario, solo perché a chiederglielo sono le loro firme? L’idea su cui si regge l’iniziativa mi ricorda tristemente la prima frase dell’appello del No Berlusconi Day del 5 dicembre 2009: “A noi non interessa che accade se si dimette Berlusconi”: l’importante è che si dimetta. E perché dovrebbe? Perché glielo chiediamo noi, e siamo in tanti. Ebbene, questa idea è destinata a fallire. Come fallì allora, nonostante in Piazza ci fossero centinaia di migliaia di persone. Ammesso che qualcuno ci creda.

Che resta della raccolta firme, una volta tolta la realizzabilità dell’obiettivo che si pone? La provocazione. La conta. E il richiamo, diretto soprattutto all’opinione pubblica, che serve a tenere compatte le file di una opposizione litigiosa, incomprensibile, e che sembra incapace di ascoltare il suo elettorato. Un modo per sollevare il morale della truppa, distogliere magari l’attenzione da certe allucinazioni post-veltroniane, riportare la pressione sul Premier. Che tra case di Montecarlo, faide interne al Pd e all’Udc e deliri leghisti ha avuto vita relativamente facile, in questi ultimi tempi.

Una mossa comprensibile, dunque. Ma più adatta a un partito politico che a un quotidiano. Perché mentre il primo può arrogarsi il diritto, nei limiti della legge, di dire e fare qualunque cosa ritenga adatta a sconfiggere l’avversario politico (anche lanciare un appello in stile “vogliamo la pace nel mondo”), se a farlo è il secondo non resta che una spiacevole sensazione di frustrazione e impotenza. Paradossalmente, di resa.

 

(Blog dell’autore: il Nichilista)