Il Pd, i risultati e il gioco

Pubblicato il 24 Luglio 2013 alle 17:11 Autore: Gabriele Maestri

«Senza la base, scordatevi le altezze» è da anni lo slogan (coniato in vignetta da Carlo Crudele) di Insieme per il Pd, community che raccoglie oltre 25mila persone sulla Rete: la sensazione che i dirigenti la base se la siano dimenticata è forte da tempo. Leggendo i commenti lasciati da tanti militanti sulla pagina Facebook di Insieme, il coordinatore della community Giuseppe Rotondo non può che rilevare un distacco sempre più netto: «Troppo spesso, ormai, la partecipazione a questo governo appare una resa alle posizioni politiche e agli interessi del Pdl, a partire dalla decisione di non votare a favore della mozione di sfiducia su Alfano». Per questo Rotondo invoca una nuova «autonomia politica e propositiva» del Pd rispetto al governo e chiede un partito profondamente nuovo a partire dal congresso, «da fissare al più presto e da tenersi entro novembre con regole aperte che permettano la massima partecipazione degli elettori».

Nel frattempo, si è diffuso viralmente in tutt’Italia «#Mobbasta», l’hashtag che il gruppo di OccupyPd ha lanciato su Twitter all’indomani della fiducia rinnovata ad Alfano e che si è tradotto presto in foglietti di «Italia. Bene comune» debitamente strappati e con la dicitura «La prossima volta firmatevela voi», incollati all’ingresso di tante sedi del Pd, compresa quella nazionale di S. Andrea delle Fratte. Sarà pure da un certo punto di vista «una protesta inutile», come l’ha definita Maurizio Belli ieri sempre su Termometro Politico, ma il fatto che in tanti si siano presi la briga di urlare sulla carta (letteralmente) il loro dissenso e che qualcuno invece abbia pensato bene di far sparire foglietti (forse) fin troppo innocenti è il segno, una volta di più, che quella distanza c’è, ma che un gruppo di persone continua a volere il Pd (non questo Pd) e a levare le tende non ci pensa: «Se facciamo #occupyPd – spiega Elly Schlein – è perché vogliamo restare nel Pd, altrimenti uno è liberissimo di occupare qualcos’altro, o di costruirsi una casa nuova. Vogliamo stare nel PD, casa nostra, e vogliamo che il PD diventi per davvero ciò che dev’essere a norma dell’articolo 1 del suo Statuto, “un partito federale di iscritti ed elettori”. Se ci riusciremo, e lo diventerà, tra i suoi iscritti non ci sarebbe nessuno costretto a gridare #mobbasta e appendere fogli alle porte sperando di essere ascoltato dai propri dirigenti».

Nel 1996, quando l’Italia fu eliminata dagli Europei di calcio, il commissario tecnico Arrigo Sacchi rilasciò una dichiarazione memorabile: «La qualità del nostro gioco avrebbe dovuto preservarci dall’eliminazione». Una formula che l’ineffabile Edmondo Berselli tradusse in «Ci hanno condannato i risultati, non il gioco», per dire che se nelle idee tutto era perfetto e nei fatti è andata da schifo, «tanto peggio per i fatti». Molti elettori del Pd certamente sono insoddisfatti dei risultati – a partire da quello elettorale, che ha avuto tra le conseguenze anche il ruolo di Alfano nel governo Letta – e non sembrano disposti ad accontentarsi di “briciole” pure importanti (dal rinnovo della cassa integrazione alla battaglia contro l’aumento dell’Iva) per glissare su vicende per loro immasticabili, dai 101 franchi tiratori contro Prodi in avanti; prima ancora dei risultati, però, contestano proprio il gioco, che li fa sentire continuamente esclusi e scavalcati, in nome della tenuta dell’esecutivo. Non c’è la garanzia che cambiando gioco i risultati arrivino, ma «a non cambiarlo – precisa Giuseppe Rotondo di Insieme – non arriveranno di certo».

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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