Renzi, Bersani e il Popolo delle Salcicce

Pubblicato il 1 Agosto 2013 alle 16:12 Autore: Livio Ricciardelli
partito democratico

Al tempo stesso Bersani, per quanto acclamato dalle feste come l’unico uomo del partito, ha un profilo politico che, giusto per fare un esempio, non gli avrebbe mai consentito di diventare segretario del Pci. Infatti i segretari del Pci provenivano tutti dal “Regno di Sardegna”: o Piemonte, o Liguria o Sardegna. L’Emilia-Romagna, proprio essendo la regione dove il Pci prendeva il maggior numero di voti, non ha mai indicato un suo uomo alla guida del partito in quanto essendo una regione amministrata fin troppo bene non era un terreno favorevole per la formazione di personale politico altamente carismatico, accontentandosi di formare sempre e solo ottimi amministratori e uomini-macchina.

Infine giusto segnalare come Bersani abbia vinto le primarie del 2012 in tutte le regioni eccetto Toscana ed Emilia. Due regioni “rosse” che guarda caso hanno voltato le spalle alla linea di Bersani preferendo l’opzione riformista e renziana. Ed ancor più indicativo risulta essere il fatto che l’ex segretario Pd abbia ottenuto le sue affermazioni più nette in ex feudi democristiani come Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia.

Bersani dunque non può per niente dirsi in continuità col “popolo delle salcicce”. Sia perché dal punto di vista culturale e politico rappresenta un ritorno al passato, per un tradizione politica da sempre propensa alla trasformazione e al rinnovamento, sia perché i suoi comportamenti pratici (che abbiamo cercato di analizzare in questo articolo) sono stati tutt’altro che da “partito pesante”.

L’insegnamento però non può che essere quello secondo cui Renzi ha ancora molto da imparare sul fronte della comunicazione politica in quanto appare come una persona ostile alle dinamiche del partito pur essendo ben più in continuità con la storia della sinistra italiana rispetto a Bersani. Anche per il solo fatto che, da riformista, rappresenta uno dei tanti motivi per cui la sinistra italiana, in una fase della sua storia, scelse di abbandonare le casacche del passato per aderire e fondare il Partito Democratico.

Il tema non è dunque “la base è stata ingannata da un tale che, dicendo di essere come loro, era di tutt’altra pasta” (addirittura uno che non sarebbe potuto mai diventare segretario del Pci!) ma è “Renzi dovrebbe essere amato e in grado di vincere nel partito”.

Un modesto consiglio, anche se so già che la proposta verrebbe cassata dai puristi della comunicazione, che darei a Renzi allora è il seguente: studiarsi bene il calendario, acquistare un biglietto del treno per Genova e servire, nell’ambito della festa nazionale del Pd, per 30-45-60 minuti (quanto vuole lui, insomma) al ristorante gestito da volontari. Può anche limitarsi a spillare le birre o di fiancheggiare il decano della festa alla cassa.

Ma dimostri che se si è fatto nascere il Pd è proprio per gente come lui. E che quella storia non deve necessariamente essergli del tutto estranea.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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