Se gli “alfieri della Patria” sono fischiati

Pubblicato il 21 Marzo 2011 alle 01:27 Autore: Livio Ricciardelli
Se gli “alfieri della Patria” sono fischiati

Giovedì 17 si sono festeggiati i 150 anni dell’unità d’Italia, in mezzo a numerose iniziative, manifestazioni e rievocazioni storiche sul Risorgimento e sulle numerose, belle e difficili fasi della nostra storia recente. È stato notato (e gradito) un certo attivismo in questo senso da parte del Capo dello Stato Giorgio Napolitano che, erede dell’attività della presidenza Ciampi sui simboli nazionali, si è fortemente sforzato di rendere questa celebrazione del 17 marzo una festa condivisa dove poter riflettere e festeggiare al meglio le parti migliori e gloriose della nostra storia, recente o meno che fosse.

La celebrazione continuerà assieme alle varie visite di Napolitano nel corso dell’anno, ma la festa del 17 marzo è sembrata partecipata e condivisa. Discorsi sul nostro passato, sulle fasi del Risorgimento e su usi e costumi si sono sprecate animando un dibattito franco e interessante sul nostro passato nazionale. Ma la giornata del 17 ha dato anche un segnale politico che, pur non necessitando di strumentalizzazioni, ci interroga sullo stato del nostro Paese. Interrogativi che ci portano ad una sbrigativa quanto efficace conclusione: in Italia effettivamente qualcosa sta cambiando.

Sappiamo tutti che Silvio Berlusconi, nel corso dei vari eventi celebrativi del 17 marzo, è stato fischiato: di mattina al Gianicolo e presso il museo della Repubblica Romana, la sera al Teatro dell’Opera. La cosa potrebbe intrigarci, ma per carità di patria non speculiamo troppo su queste vicende. Ci interessa invece un’altra forma di contestazione che assume dei connotati politici e culturali ben più marcati e quindi ben più interessanti da analizzare: i fischi e le contestazioni a Gianni Alemanno e ad Ignazio La Russa.

Non selezioniamo questi due politici casualmente, ma perchè sulle contestazioni nei loro confronti emerge una evidente questione politica. I più attenti osservatori si ricorderanno senz’altro quel manifesto di Alleanza Nazionale per le elezioni politiche del 2006 che recitava: “Eravamo in pochi a chiamare “Patria” l’Italia. Ora siamo la maggioranza”.

Ora, a parte il fatto che sul concetto di “Ora siamo la maggioranza” riferito ad An ci sarebbe da ridire, e così se si tiene conto delle Politiche del 2006 che diedero una pur risicata maggioranza ad una coalizione avversa ad An; ma la cosa che fa riflettere sta proprio nelle contestazioni ad Alemanno e a La Russa, che nell’ambito di quel partito erano pienamente catalogabili  come “colonnelli” e che addirittura risultavano essere i “capoccia” di ben due delle tre componenti maggioritarie nel partito (rispettivamente la “Destra Sociale”, guidata da Alemanno insieme a Storace, e la “Destra Protagonista”, guidata dall’attuale ministro della Difesa assieme a Maurizio Gasparri).

Quelli che dovevano essere gli alfieri del patriottismo, se non purtroppo o forse proprio per questo del nazionalismo, sono stati contestati nel corso della festa più patriottica da qui a 50 anni. Cosa sta accadendo dunque?

In primis l’operato di Napolitano che ha riempito la celebrazione di sani contenuti storici e politici ragionevoli. Quindi al riparo di un inutile e stucchevole retorica dal “molto fumo e poco arrosto” tipico della destra italiana.

In secondo luogo c’è anche quello che io definirei “effetto salute” e che si delineò nel corso del referendum costituzionale del giugno 2006: come la salute, ci si accorge della sua importanza quando non la si ha, anche la patria e la nazione risultano essere patrimoni in pericolo se c’è un governo a trazione leghista. In questo senso possiamo ben dire ironicamente che è proprio grazie all’inaccettabile pensiero e azione politica della Lega Nord se la gente ha percepito in maniera così netta l’importanza della celebrazione.

E infine in terzo luogo c’è la contingenza politica: può essere effettivamente emerso da parte di uno spicchio di popolazione una forte avversità politica e dialettica nei confronti della maggioranza di governo accusata di non governare bene e di voler stravolgere la carta costituzionale, sintesi perfetta ed esempio di democrazia della nostra travagliata e complessa vicenda unitaria.

Sono tutti elementi che fanno riflettere e che possono spingere alla conclusione che forse qualcosa sta cambiando e che comunque sta accadendo qualcosa nelle coscienze degli italiani. Ma ovviamente tutto ciò non vuol dire che uno schieramento politico si appresta a vincere le elezioni ed un altro a perderle. Così come tutto questo non rappresenta affatto per la sinistra l’ottenimento di una vera e propria egemonia culturale, a scapito della destra, in merito all’unità d’Italia.

Sono però tutti segnali che dovrebbero preoccupare seriamente qualche esponente del governo e della maggioranza.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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