Se a Napolitano si chiede l’impossibile

Pubblicato il 19 Agosto 2013 alle 21:16 Autore: Gabriele Maestri

Poi, non si può non vedere che la nota del Quirinale individua come oggetto del potere di clemenza la «esecuzione della pena principale», che comunque Berlusconi non sconterebbe in carcere.

Non sono invece citate le pene accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici: per l’art. 174 c.p. la grazia di norma non le estingue, «salvo che il decreto disponga diversamente».

A volte Napolitano lo ha fatto, è vero, ma la formula utilizzata nella nota conferma che si tratta di un’eccezione e non sembra che qui ci sia lo spazio.

Certo, il Presidente potrebbe non avere citato la pena accessoria perché non è ancora stata rideterminata, cosa che complica la questione: se grazia dev’essere, è inopportuno che arrivi prima che si sappia l’ammontare della pena accessoria (se il decreto venisse emesso prima, poi se ne dovrebbe fare un altro per l’interdizione?), ma solo se la grazia arrivasse in fretta si consentirebbe a Berlusconi di fare pienamente attività politica o – chissà – campagna elettorale, molto più difficile con la detenzione domiciliare o l’affidamento ai servizi sociali.

Già, perché il problema più spinoso è quello della cd. “agibilità politica”. Non stupisce che Napolitano abbia detto di avere ben presenti le esigenze e le preoccupazioni del Pdl: è normale che lo faccia, come rappresentante dell’unità nazionale, per evitare che fratture all’interno della società nascano o si aggravino. Detto questo, però, non si può chiedere al Presidente di fare ciò che non gli compete o che le norme non gli permettono.

Berlusconi

Ora, gli ostacoli alla “agibilità politica” di Berlusconi verrebbero dall’interdizione dai pubblici uffici e dalle norme sull’incandidabilità (che non consentirebbero di partecipare a nuove elezioni) e dall’esecuzione della pena detentiva, che comporterebbe le limitazioni ricordate prima. La grazia “ordinaria” o la commutazione della pena detentiva in pecuniaria risolverebbero l’ultimo problema (ovviamente se ci fossero i requisiti per la clemenza).

L’interdizione dai pubblici uffici, invece, dovrebbe essere espressamente citata nel decreto. Le parole di Napolitano sembrano escluderlo, ma anche stavolta applicare una norma eccezionale in questo caso rischierebbe di snaturare il carattere umanitario della grazia e la posizione super partes del Quirinale: il Presidente si assumerebbe una responsabilità politica forte, che poco si addice a un ruolo come il suo (va esclusa una commutazione della pena accessoria, non prevista dalla legge, che parla solo di estinzione).

Di certo, però, il Capo dello Stato non può agire sull’incandidabilità in base alla “legge Severino”. Questa situazione non è una pena principale o accessoria, per cui un provvedimento di clemenza del Presidente della Repubblica non potrebbe cancellarla; in più, la grazia o la commutazione della pena lascerebbero intatta la sentenza di condanna, di cui l’incandidabilità è conseguenza diretta.

L’ostacolo più insidioso, dunque, Napolitano non può toglierlo. A questo punto, la cd. “agibilità politica” potrebbe arrivare solo da una soluzione politica: più che da un voto contrario della Giunta e del Senato, da un intervento normativo del parlamento che intervenga sulla “legge Severino”. E’ chiaro però che di questa iniziativa, come del voto dato negli organi competenti, sarebbero pienamente responsabili i partiti verso i loro elettori: il Quirinale, dunque, è davvero fuori dal gioco e invocarlo è inutile.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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