OccupyPD: intervista a Elly Schlein

Pubblicato il 20 Agosto 2013 alle 18:10 Autore: Matteo Patané

Che cosa ti ha insegnato l’esperienza elettorale negli Stati Uniti, e quali sono le metodologie ed i processi che stai cercando di replicare anche da noi?
L’esperienza come volontaria a Chicago mi ha dato umanamente tantissimo, e mi ha profondamente segnato. Perché lì ho visto un popolo tendenzialmente molto meno attento di noi, molto meno interessato alla politica, ricominciare a credere profondamente in un progetto comune di cambiamento, e riappassionarsi alla politica nella sua forma più alta. Che è quella condivisa, che è quella di una battaglia comune. Obama è riuscito a dare una visione e far convergere le speranze, le esigenze e l’entusiasmo di persone completamente diverse in una stessa direzione. Era buffo entrare al quartier generale e vedere giovani liceali lavorare gomito a gomito con anziane pensionate di colore. È evidente che fossero lì per motivi differenti, e Obama ha saputo vincere perché li ha messi insieme, a lavorare fianco a fianco per far vincere la stessa visione del futuro. Su ciò che ho potuto osservare in termini di strategia elettorale potrei dilungarmi troppo, ma mi limito ad una considerazione: lì la differenza per Obama l’hanno fatta i volontari. Persone comuni, che non hanno tessera né funzioni di partito, né esperienza politica alle spalle. Possibile che qui da noi, a febbraio, il PD e la coalizione avessero a disposizione un albo delle primarie (con tutte le polemiche che è costato, tra l’altro) con oltre tre milioni di contatti che non sono minimamente stati coinvolti nella campagna elettorale? Niente. E quello è l’unico vero vantaggio che abbiamo rispetto a Grillo e Berlusconi, ma nessuno ha avuto l’intelligenza politica di utilizzarlo. Praticamente è come dormire su un tesoro.

occupy pd

La prima domanda che spesso sorge quando si ascoltano le vostre idee e i vostri progetti è: “ma cosa restano a fare queste persone nel PD?” Ti giro la domanda: perché restare nel PD? Al di là del senso di appartenenza e della fedeltà alla bandiera, perché lottare ancora per questo partito e invece non ripartire da zero con una formazione nuova? Perché oggi qualcuno dovrebbe ancora scommettere e investire energie nel PD?
Perché c’è un PD che non si vede. Che è quello dei tanti elettori ed iscritti che coi 101 non hanno niente a che fare, che non ne capiscono i moventi o che li capiscono fin troppo bene. Che è quello dei tanti sindaci PD che, anche se nessuno lo ha detto in campagna elettorale, amministrano i “comuni virtuosi”, lavorando per il cambiamento, quello vero, nella vita di ogni giorno e portando risultati concreti, di solito nell’indifferenza dell’alta dirigenza del partito. Perché restare qui? Perché è casa nostra. Perché chi occupa davvero il PD non siamo noi, che difendiamo lo statuto e i valori fondativi di questo partito; i veri occupanti sono i 101, sono coloro che trattano il partito come fosse proprietà privata di alcuni capobastone. Sempre bravissimi a riunirsi davanti ai caminetti, tra l’altro, ma mai una volta che riescano a vincere le elezioni. Siamo qui perché siamo convinti – lo percepivamo prima e ne abbiamo avuto conferma strada facendo – che la “base” del PD sia molto più avanti di questa dirigenza, ormai autoreferenziale e chiusa in se stessa. E quindi certo, non sarà facile cambiare le cose, ma vale la pena tentare. Anche perché si tratta di una cosa banale come far applicare il nostro statuto, secondo cui sono gli elettori ed iscritti a scegliere gli organi dirigenti e la linea politica del PD. Ma chiedete un po’ ai circoli se finora è stato davvero così.

L’importanza della rete, l’orizzontalità del processo democratico e la trasparenza interna spesso hanno fatto accostare OccupyPD al MoVimento 5 Stelle. Cosa vi accomuna e cosa vi differenzia dai grillini, al di là ovviamente della bandiera di partito? Quali parti dell’esperienza del M5S ritenete debbano essere presenti nel PD che immaginate e quali invece considerate un esempio negativo da non imitare?
Personalmente credo che da Grillo ci siamo fatti fregare dei temi fondamentali che avrebbero già dovuto essere al centro della nostra azione politica da tempo (e magari lui al 26% non ci sarebbe arrivato). Sto parlando dell’ambiente, della green economy. Della rete e delle sue potenzialità anche per lo svolgimento del dibattito democratico. Sto parlando del digitale, della lotta alla corruzione e al conflitto di interessi, in tutti i suoi generi. Dopodiché io credo che Grillo non sia la soluzione. Non lo è perché non ha saputo dire nulla, ad esempio, sui diritti civili, non ha una visione complessiva dell’economia, non si capisce cosa voglia far per il lavoro. E non ha detto nulla perché sa che il collante è un (parzialmente legittimo) “Vaffanculo” a tutti, mentre è molto più debole nella sua parte propositiva. Ma la cosa più allarmante trovo sia la questione della democraticità: non c’è nulla di più antidemocratico dell’affermazione “non ci fermeremo fino a che avremo il 100% del parlamento.” In una società democratica il pluralismo è una precondizione necessaria, oltre che un grande valore, ed il partito unico ha un sapore antico ed inquietante. Come non è tollerabile mettere alla porta chiunque osi mettere in discussione i toni del leader. Nelle quotidiane, lunghe discussioni con i sostenitori del M5S che ci incalzano ad uscire dal PD, spesso ci ritroviamo a ricordare loro che il PD sarà pure un disastro, ma intanto noi non veniamo sbattuti fuori perché lo diciamo.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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