Davvero l’Imu indebolisce Letta?

Pubblicato il 29 Agosto 2013 alle 15:44 Autore: Gabriele Maestri

Era inevitabile che la decisione relativa all’Imu comunicata ieri producesse riflessioni sulla tenuta del governo e sul “peso” che le due maggiori forze politiche saranno in grado di far valere d’ora in avanti, influendo sulla durata stessa dell’esecutivo.

E’ altrettanto chiaro che la prima lettura, forse quella più facile, attribuisca al Popolo della libertà una posizione di vantaggio.

Le dichiarazioni del segretario (e vicepresidente del Consiglio) Angelino Alfano e di tutto il partito – che continua a parlare di “promessa mantenuta” – farebbero pensare che ieri solo il Pdl possa avere messo a segno una vittoria.

Il Pd invece, per usare le parole di Monti, si sarebbe piegato alle richieste del partito legato a Berlusconi, al punto che molti elettori avrebbero buon gioco a parlare di una sorta di “ricatto” che i democratici avrebbero accettato per garantire un po’ di vita al governo di Enrico Letta e allontanare (almeno per stavolta) lo spettro di nuove elezioni.

alfano vicepremier governo letta

A prima vista, cambierebbe poco anche se si considerasse che quello di ieri è stato essenzialmente un impegno politico – le risorse per la cancellazione della seconda rata Imu ancora non sono determinate, occorrerà farlo nella legge di stabilità a ottobre e non sarà una passeggiata – e che il Pd è riuscito comunque a “coprire” gli interventi in materia di cassa integrazione straordinaria e di “esodati” (che, peraltro, in condizioni diverse avrebbero potuto essere più consistenti).

Letta, in ogni caso, si mostra relativamente tranquillo. Anche stamani, intervenendo a Radio anch’io, ha dichiarato: “Al di là del governo più forte o più debole e del chiacchiericcio politico che non mi interessa, mi sembra che il governo abbia varato misure importanti da cui l’Italia può trovare grande giovamento“. Eppure, forse, una riflessione sulla stabilità del governo dovrebbe davvero essere più approfondita.

E’ vero, la parola Imu sta per essere abolita dal vocabolario (per dirla con Alfano), ma si è già detto che non sparirà, per lo meno non del tutto. A partire dal 2014, infatti, l’imposta sugli immobili sarà inclusa nella cosiddetta service tax, ossia un’imposta sui servizi comunali. Se la prima componente del balzello riguarderà la gestione dei rifiuti urbani (e quindi sostituirà ad ogni effetto la Tares, coprendo interamente i costi del servizio), la seconda concernerà la copertura dei servizi indivisibili, dovrà essere pagata da chi occupa fabbricati e i comuni potranno scegliere come base imponibile la superficie o la rendita catastale.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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