Berlusconi, il video attacca ma non graffia

Pubblicato il 19 Settembre 2013 alle 11:50 Autore: Gabriele Maestri

Anche qui, però, qualcosa è cambiato. Nel messaggio del 1994, Berlusconi snocciolò il suo credo, elencando come capisaldi l’individuo, la famiglia, l’impresa, la competizione, lo sviluppo, l’efficienza, il mercato libero, la solidarietà come “figlia della giustizia e della libertà”. Stavolta, tra le riforme “indispensabili per modernizzare il paese”, il Cavaliere mette come priorità la giustizia.

Se nel 1994 poteva pensare ai partiti cancellati da Tangentopoli (dimenticandosi forse che il malaffare esisteva davvero), ora pensa al suo cursus honorum di processi penali (anche se per modernizzare il paese bisognerebbe riformare soprattutto il processo civile).

E’ proprio la difesa dalla propria vicenda giudiziaria che occupa la parte centrale e più corposa del discorso. Non vale la pena di analizzarla, perché è una sorta di collage di cose già dette negli anni su Pm e giudici, soprattutto dalla prima condanna al risarcimento danni a favore di Carlo De Benedetti sul caso “lodo Mondadori”. Si può però dire che la quantità di accuse rovesciate sulla magistratura la individua come primo bersaglio del messaggio, ancora di più della sinistra che pure resta ben visibile sullo sfondo, anche grazie ai continui riferimenti a Magistratura democratica.

Il discorso del 26 gennaio 1994

E, a proposito di sinistra, in questo messaggio va segnalata l’estinzione dei comunisti. Non certo nella mente di Berlusconi, ma nel discorso sì. Non va oltre la citazione della “via giudiziaria al socialismo”, parlando sempre della magistratura. Certo, ripete “che è rimasta sempre la stessa: la sinistra dell’invidia, del risentimento e dell’odio” e non sono parole leggere, ma in questo revival di Forza Italia manca quella parola forte, che certamente nel 1994 aveva fatto presa e che è stata usata per tante volte in seguito, anche quando in Parlamento partiti che si considerassero comunisti non ce n’erano più.

Anche questo, in fondo, è un piccolo segno di cambiamento, che rischia di passare sotto silenzio nella ricerca di altri particolari, ad esempio di riferimenti al governo. Come è noto ce n’è uno solo, quello ai ministri di cui si parlava prima. Si dice che è il segno che, per ora, il governo non cade. Probabile. Ma se le proposte volte a “fermare il bombardamento fiscale” di famiglie e imprese non dovessero andare in porto (ad esempio per l’aumento dell’Iva o per la necessità di intervenire di nuovo sull’Imu), lo scenario potrebbe cambiare in fretta. Anche se potrebbe non significare la fine del governo Letta, qualora si trovino soluzioni diverse.

Infine, “Forza Italia!” Con le virgolette e l’esclamativo, visto che ci si riferisce al finale del discorso. Il nome del partito è ad un tempo l’esortazione, ripetuta tre volte, in tono sempre più imperioso, quasi militaresco alla fine, e vorrebbe essere il climax finale del messaggio, dopo il messaggio definitivo della “ultima chiamata prima della catastrofe”. E invece potrebbe non essere così. Perché i messaggi, quando sono ripetuti, possono nascondere in sé una certa debolezza (lo sapeva bene, per dire, Lucio Battisti, che nell’ultima sua vita musicale aveva abolito i ritornelli dai testi di Pasquale Panella).

E allora, l’invito ripetuto più volte, quasi a voler suscitare un coro del pubblico, potrebbe avere una risposta collettiva sì, ma forse meno corposa del previsto. Più fiacca e più fioca. Un po’ come – per chiudere il cerchio sulla scenografia ricordata prima – l’immagine del Cavaliere. Stavolta non c’è la “luce da calza”, lo studio è molto più chiaro rispetto al “set” del 1994, eppure è Berlusconi a sembrare pallido e meno incisivo, nonostante la durezza delle parole. L’ora è grave, quindi il sorriso non c’è, sono passati pur sempre quasi vent’anni, eppure non basta a spiegare perché questo messaggio attacca molto, ma graffia assai meno.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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