Diplomazia iraniana al bivio: riserve dell’occidente e ostilità dei ribelli

Pubblicato il 22 Settembre 2013 alle 14:04 Autore: Ilenia Buioni
iran

Il richiamo alla responsabilità e alla cooperazione tra Stati non è che l’eco di parole già spese dai vertici della diplomazia russa, che sorveglia costantemente la fragilità di cristallo della Siria. Tuttavia, l’appello ad un duraturo processo di pace resta affidato a parole svuotate della propria essenza, sciupate da una scarsa convinzione e da critiche forse troppo amare verso la politica statunitense degli ultimi dodici anni. Una strategia traditrice – a giudizio di Rohani – un inganno che trae alimento dalla magra necessità di difendere la sicurezza di alcuni Paesi, accettando il rischio che molti altri siano posti in pericolo. Non a caso, gli interventi in Afghanistan e in Iraq hanno fatto emergere grandi interrogativi irrisolti.

Impressioni non certo positive sull’apertura diplomatica iraniana si sono generate già in Siria: la coalizione dei ribelli non ha mancato di sottolineare espressamente la scarsa serietà e l’inattendibilità politica della mediazione iraniana.

Una diplomazia in via sperimentale

Eletto il 14 Giugno scorso, H. Rohani si è presentato come il moderato che ha raccolto poco più del 50% del consenso dell’elettorato iraniano e, fin da subito, ha mostrato apertura nei confronti dell’Occidente. Davanti ad un Governo che esibisce tolleranza e dialogo, la Casa Bianca ha rinnovato la disponibilità a collaborazioni bilaterali che trovino fondamento nella reale intenzione di Teheran a rinunciare ad un programma di armamento nucleare.

A ribadire la fermezza della posizione statunitense tanto da risolvere finalmente l’annosa questione del nucleare in Iran è stato il portavoce della Casa Bianca, J. Carney.

Rohani in netto vantaggio

Ad ogni modo, prima di acclamare un’inversione di rotta della Repubblica Islamica sarebbe preferibile prestare più attenzione al vento che soffia verso Washington e l’Europa. Non è un caso che la potenziale riabilitazione dell’Iran post Ahmadinejād inciampi su malferme dichiarazioni, che potrebbero provocare una scomposizione delle aspettative.

Primo tra tutti, si pone il problema dell’arricchimento dell’uranio – asseritamente assoggettato a fini pacifici – ma che potrebbe riconnettersi pericolosamente all’annunciata svolta del programma nucleare iraniano. Svolta che sebbene non ancora esplicitata– rassicurano i portavoce iraniani – può già considerarsi in un’accezione positiva.

In secondo luogo, una sagoma diplomatica meno raffinata è stata impiegata nel definire i rapporti di vicinato con Israele, accusato di ingiustizie nei confronti di tutti i popoli mediorientali e di portare instabilità all’intera regione con le sue tendenze guerrafondaie. E sebbene Rohani non abbia negato l’Olocausto come il suo predecessore, non ha certo risparmiato l’epiteto di usurpatore allo Stato ebraico.

A questo punto, due sono le interpretazioni consentite.

I toni decisi possono talvolta dare forma concreta a quell’astratta   libertà di espressione a tutt’oggi agognata dai cittadini iraniani; o – al contrario –  l’auspicato ricorso al dialogo può appassire in un attimo, se continua ad essere gravato dal peso di  una consolidata cortina di mera propaganda internazionale.

Luttine Ilenia Buioni