Ddl province già impantanato in commissione

Pubblicato il 2 Dicembre 2013 alle 20:04 Autore: Gabriele Maestri
ddl province taglio

Parte e si ferma subito la discussione sul disegno di legge che dovrebbe abolire le province, fondere i comuni e istituire le città metropolitane. La ex relatrice di maggioranza Elena Centemero (ex Pdl, passata a Fi) voterà contro, come pure la Lega; dubbi vengono anche dal Nuovo Centrodestra. I 5 Stelle, per parte loro, bollano il ddl come “farsa e finta abolizione”. Per Arcangelo Sannicandro (Sel), siamo già al requiem della riforma.

Non sembra andare bene a quasi nessuno, dunque, il ddl messo a punto dal ministro Graziano Delrio, che era stato pensato per “svuotare” le province, perché poi provvedesse una riforma costituzionale a toglierle del tutto dal testo della Carta. A questo punto, non è impossibile che si debba seguire il percorso previsto per tutte le altre riforme istituzionali. Sempre che si voglia procedere.

delrio ddl province

La trasformazione delle province in enti di “area vasta”, con funzioni di coordinamento dei vari territori e con gli organi mutuati da quelli dei comuni, sarebbe già un passaggio laborioso, che le forze politiche in Parlamento non sembrano tutte disposte ad accettare. Nel frattempo si avvicina il turno più nutrito di elezioni amministrative (previsto per la primavera del 2014), con 54 province in scadenza e 21 commissariate: senza riforma, si dovrebbero rinnovare le amministrazioni col voto. Diversamente, il “valzer delle poltrone” potrebbe prendere altre forme e dovrebbe (soprattutto) contare su altri canali.

Quello che è chiaro è che qualcuno questa riforma – così come immaginata da Delrio – non la vuole proprio. Perché non porterebbe ai risparmi sperati (il personale va comunque riassorbito) o perché, come sostiene il M5S, di fatto è un modo per cambiare poco o nulla e allontanarsi anni luce dall’abolizione. Senza contare che la proposta governativa è già stata bocciata dalla Corte dei Conti, temendo nuovi costi e nuove sovrapposizioni di competenze, dovute soprattutto al proliferare delle città metropolitane, passate da 3 a 15 (3 solo in Sicilia).

Anche la Corte Costituzionale, del resto, aveva già smontato lo “svuotamento” delle province operato dal governo Monti, perché era stato scorretto procedere per decreto-legge. La soluzione configurata da Delrio doveva servire a sanare anche questo problema, mentre ora ne sorgono altri dal centrodestra. Il problema è doppio: da un lato non piace la conservazione provvisoria delle province (senza riduzione di spesa), dall’altra – ed è soprattutto il dubbio di Angelino Alfano – c’è il fondato timore che i nuovi enti di secondo grado finiscano in mano alla sinistra, facendo perdere al centrodestra significative posizioni sul territorio.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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