Matteo Renzi: le riflessioni del filosofo Diego Fusaro

Pubblicato il 19 Dicembre 2013 alle 16:24 Autore: Marco Caffarello

Matteo Renzi: le riflessioni del filosofo Diego Fusaro.

La figura di Matteo Renzi, il rottamatore, si sa, non mette tutti d’accordo, neppure chi di ‘sinistra’ lo è. E’ da sinistra che infatti provengono le più dure critiche al neoeletto segretario Pd; dal giorno del suo insediamento non tutte le voci si sono unite al coro dei complimenti e dei facili entusiasmi. E’ il caso, ad esempio, del filosofo Diego Fusaro, docente di filosofia della storia presso l’Università di Milano e autore di diversi saggi filosofici di successo come ‘Minima Mercatalia‘, edito nel 2012, o ‘Bentornato Marx. Rinascita di un pensiero rivoluzionario‘, pubblicato nel 2010, e conosciuto ai più anche per le sue apparizioni in trasmissioni televisive di successo come ‘La Gabbia’ di La7, ‘Virus, il contaggio delle idee’ di RAI2.

Ciò che contesta il giovane filosofo, cresciuto sotto l’attenta guida di Costanzo Preve, filosofo della storia scomparso solo di recente, non è tanto la nomina in sé di Renzi a segretario del più grande partito di sinistra italiano, quanto la strada che le cd. forze progressiste hanno tracciato negli ultimi trent’anni, un sentiero che ha lasciato dietro di sé ogni termine, ma anche ogni valore e principio, dell’antica dialettica marxista, che contrapponeva al potere del ‘Capitale’ l’unità delle classi operaie, per ‘corrompersi’ dell’etica del più selvaggio neoliberismo contemporaneo con il quale anche l’economia perde ogni contatto con la realtà per divenire pura astrazione finanziaria.

Renzi

Diego Fusaro, e prima di lui Preve ed altri, vede nella parabola del trasformismo della sinistra, che negli ultimi decenni ha cambiato pelle, dapprima con lo storico passaggio dal PCI al PDS, e poi ancora in DS ed infine PD, una tragica o ‘tragicomica’ involuzione, che anziché rispondere alle istanze delle classi di cui è rappresentante in Parlamento, si è autolimitata ad essere solo una sterile, e forse compiacente, forza di opposizione al cd. berlusconismo. Sotto questa luce la dichiarazione che il neosegretario Pd ha rilasciato il giorno della sua nomina, ‘Non cambiamo campo, ma solo i giocatori’ risuona alle orecchie del giovane filosofo più che come il classico ‘excusatio non petita‘, come la più assoluta verità.

Ciò perchè agli occhi di Fusaro le parole e le posizioni di Renzi rimangono perfettamente in linea con la parabola discendente della sinistra italiana degli ultimi trent’anni: i vari segretari che si sono avvicendati in questi decenni, sono per il filosofo, per dirla come Marx, solo delle ‘maschere di carattere‘ che giocano, in un mondo ormai come quello attuale unito dalla comunicazione universale, al cd. gioco del ‘politicamente corretto‘. Nella realtà, tuttavia, al di là di ogni retorica di ciò che correttamente si deve dire, le forze della sinistra nella pratica sono state negli ultimi decenni in antitesi con quelli che dovrebbero essere i valori e le lotte di una vera forza progressista.

Non stupisce più di tanto quindi a Fusaro che oggi Renzi sieda alla guida del Pd; differentemente dai suoi predecessori il sindaco di Firenze, agli occhi del filosofo, si è tolto persino la maschera per assumere un linguaggio ormai apertamente neoliberale, a braccetto dunque con la più classica, ed assuefatta, etica dei mercati. Come dice lo stesso Fusaro in un suo articolo, “di diritti sociali, tutela per gli esclusi, difesa del lavoro non v’è nemmeno più traccia verbale nei discorsi di Renzi. È il discorso del capitalista che ormai apertamente si esibisce anche a sinistra, rivelando l’ormai avvenuta colonizzazione dell’immaginario da parte del capitale”

Non a caso in termini filosofici Fusaro paragona la dialettica di Renzi alla “vuota profondità” che fu di Hegel. Per Fusaro è ora necessario ed indispensabile, prima di un’ulteriore deriva dell’etica neoliberale e di un accrescimento del potere finanziario sulla dimensione dell’economia reale, valutare serenamente dove si è storicamente partiti e dove si è attualmente giunti. Che cosa infatti, si chiede, lega tra loro la nobile figura di Antonio Gramsci con il profilo da copertina di “Vanity Fair” di Matteo Renzi?