L’INTERVISTA Gli avvocati antiPorcellum: “Italicum incostituzionale, deciderà la Corte”

Pubblicato il 30 Gennaio 2014 alle 13:13 Autore: Gabriele Maestri
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D’accordo, è stata la Corte costituzionale a fischiare la fine del Porcellum, tra dicembre e gennaio. A iniziare la partita, però, già nel 2008, sono stati loro, gli avvocati Aldo Bozzi Claudio Tani. Assieme ad altri cittadini (e all’avvocato Felice Besostri), hanno lamentato di non aver potuto esercitare per anni il loro diritto di voto secondo Costituzione, vari giudici non avevano dato loro retta, finché la Cassazione li ha ascoltati e la Consulta, per ora, li ha accontentati.

Ora però l’Italicum sarebbe calato come una bomba a rovinare il risultato ottenuto. Perché secondo gli avvocati che hanno smontato due punti nevralgici del Porcellum quel sistema è già incostituzionale di suo, perché sembra scritto da chi la sentenza della Corte non l’ha letta o, comunque, non la considera proprio. Accettano di raccontare cosa non va nelle nuove possibili regole e garantiscono: la loro battaglia non si è fermata. Se servirà, sono pronti a chiedere di nuovo l’intervento della Consulta.

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Felice Besostri, Claudio Tani, Aldo Bozzi

Quando avete saputo delle prime bozze dell’Italicum, qual è stato il vostro pensiero?

Che la sentenza della Corte costituzionale questi signori non se la filano neanche.

Un’idea molto chiara…

Non se la filano, non l’hanno nemmeno letta.

In particolare qual è stata la prima cosa che vi ha scandalizzato?

Tani: Che hanno riproposto sostanzialmente gli stessi vizi che la sentenza aveva censurato sulla legge Calderoli.

Bozzi: Questo è un Superporcellum!

Quindi finite per condividere il rischio che avevano paventato Beppe Grillo e i parlamentari del M5S, visto che quell’etichetta l’avevano coniata loro…

T: Guardi, qui il problema è che con un premio com’è ora, il “maiale” di prima diventa un angioletto, un cigno. A questo punto anche chi non è andato oltre il 25% si prende il premio di maggioranza! Abbiamo un premio di maggioranza del 30%, ci rendiamo conto?

Eppure in questo caso è stata aggiunta almeno una parvenza di soglia, come indicato dalla Corte.

Il problema non è tanto la soglia, in quanto tale: certo, la legge Calderoli non la prevedeva e sotto questo aspetto è stata censurata. Ma la sentenza della Corte costituzionale dice anche un’altra cosa: comunque ogni voto deve concorrere potenzialmente e con pari efficacia alla formazione delle assemblee elettive. Questo significa che, posto che un sistema proporzionale puro non esiste e servono sempre dei correttivi, i correttivi non possono superare la soglia della ragionevolezza. Una distorsione dev’essere contenuta nei limiti del ragionevole.

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Devo dedurre che per voi qualunque tipo di premio di maggioranza sarebbe troppo distorsivo?

Io le posso esprimere la mia opinione: questi signori qui devono fare una scelta per lo meno intellettualmente onesta. Abbiamo in questo momento un proporzionale; la Corte costituzionale fa presente che la Costituzione non ha optato decisamente per il maggioritario o per il proporzionale, ma questi signori qui non optano neanche per il maggioritario. Questo è un proporzionale corretto in modo tale da assicurare comunque a quelli già presenti la rappresentanza e la maggioranza assoluta. Se invece si scegliesse un vero sistema maggioritario – ad esempio un uninominale secco – sarebbe una cosa intellettualmente molto più onesta. Per dire, alla Camera ci sono 630 deputati, si divide il paese in altrettanti collegi e si fa l’uninominale e chi vince collegio per collegio prende il seggio; però non lo fanno perché c’è il rischio che il loro prescelto possa non essere eletto, ad esempio se non è conosciuto, non è stimato, non è effettivamente rappresentativo…

Se è un “paracadutato”…

… e allora scelgono questo strumento di conferire a chi prende il 35% praticamente un altro 20%. Se poi ci sono le coalizioni e si va al doppio turno perché nessuna ha superato la soglia, l’effetto distorsivo è ancora peggiore, perché quel 20% in più può diventare addirittura il 40%!

Eppure il doppio turno dà almeno l’impressione che sia il corpo elettorale – per lo meno, la parte che sceglie di mobilitarsi al ballottaggio – a scegliere a chi deve toccare il premio, qualche briciolo di ragionevolezza in più sembra averlo…

C’è un problema a monte. Nel doppio turno lei mi insegna che il primo voto si dà col cuore, il secondo si da secondo convenienza, perché si vota la coalizione che si avvicina di più alle proprie opinioni e comunque pesa più il raziocinio del sentimento. Ma il doppio turno funziona in Francia o in Italia nelle elezioni locali perché c’è una sola assemblea elettiva, mentre qui ne abbiamo due. Come la mettiamo?

Se ce ne fosse una soltanto, il discorso cambierebbe?

Tani: Se ce ne fosse una soltanto, si sceglierebbe “onestamente” un maggioritario.

Bozzi: Ma non sta bene, perché noi ci rendiamo conto della necessità della doppia lettura. Questa vicenda che stiamo vivendo, per cui alla Camera un solo partito può fare quello che vuole, mentre al Senato non ci riesce, è la dimostrazione, la prova provata che ci dev’essere una seconda Camera, perché sennò entriamo in dittatura, ha capito?

Tani: Mi consenta il termine: si blatera tanto di bipolarismo, bipartitismo, che pure son due concetti diversi. Oggi si parla molto di superare il bicameralismo, ma secondo lei la paralisi governativa e istituzionale è data dal bicameralismo o dal fatto che, per esempio, nelle due Camere ci sono due maggioranze diverse grazie al sistema elettorale che è stato scelto?

Secondo me la paralisi – lo dico da studioso – è dovuta al fatto che in Parlamento c’è molta gente che ha voglia di perdere tempo, specie attraverso questioni di procedura.

Tani: … e al fatto che dentro c’è molta gente che non sa governare. La Corte costituzionale dice che la governabilità non è un valore o un principio, ma un obiettivo costituzionalmente legittimo, ma è un obiettivo.

Che dunque deve rispettare i principi.

Tani: Già, ma poi lei sa che in tutto il mondo ci sono paesi con maggioranze ultrabulgare che non sono governabili, perché non sanno governare. La governabilità non è un artificio matematico, ma un fatto politico.

Bozzi: La governabilità non si fa per legge.

Tani: O si ha un ceto politico che sa governare, che è politicamente all’altezza dei problemi, che sa mediare con la società, o altrimenti non c’è legge che tenga.

camere camera

Sul premio di maggioranza mi ha colpito l’osservazione della Corte sulla ragionevolezza: posto che il ruolo delle assemblee parlamentari è ben diverso, gli altri sistemi elettorali che, come in quello vigente per i piccoli comuni, prevedono un premio enorme, rischiano l’incostituzionalità?

Tani: No, la Costituzione fa riferimento ai principi costituzionali per l’elezione delle assemblee parlamentare. Le assemblee degli enti locali sono una cosa molto diversa, non si possono paragonare la Camera o il Senato al consiglio di un comune di 12mila abitanti.

Dopo la questione del premio, il secondo fronte si apre sulle liste che sono ancora bloccate, anche se sono effettivamente più corte.

Tani: Sulle liste la Corte ha fatto un discorso sulla conoscibilità: ha detto che, con una lista di 40 e più nomi come avveniva nelle circoscrizioni più grandi, i candidati che ne fanno parte sono meno conoscibili dall’elettore, mentre una lista corta è più conoscibile. Ma si ferma lì e non dice che, con una lista corta, la lista può essere bloccata…

Bozzi: … e non c’è la preferenza.

Tani: Quello che conta è garantire il diritto di scelta dell’elettore, la scelta ci dev’essere e se la lista è bloccata la scelta non c’è. Anzi, a maggior ragione, se la lista è corta e la conoscibilità è maggiore, perché devo sottrarre all’elettore la possibilità di scegliere tra candidati che sono appunto più conoscibili?

Bozzi: Comunque la Corte ha detto chiaramente che l’ordine di lista vale solo in assenza della preferenza, se l’elettore non ne esprime nessuna, mentre con la preferenza prevale questa. Lo ha detto con una chiarezza notevole, eccezionale, indiscutibile.

Anche se in realtà quel passaggio si poteva interpretare anche solo nel senso di dire che, nella normativa di risulta, l’ordine di lista predeterminato non era in contrasto con l’espressione di una preferenza. Quindi secondo voi la preferenza è l’unica soluzione, oppure potrebbero esserci alternative, ad esempio attraverso primarie regolate con cui i cittadini sono chiamati a scegliere i componenti della lista e il loro ordine?

Pensiamo siano cose diverse. L’unica alternativa alla preferenza è il collegio uninominale: a quel punto il partito, con le sue regole interne più o meno democratiche – questo fa parte degli interna corporis del partito – propone un candidato e la gente decide se votarlo o no. Nel momento in cui mi metti lì 5, 6, 8, 10 candidati, non puoi sottrarmi la scelta: il partito designa i candidati, ma non sceglie l’eletto, cosa che spetta agli elettori. La questione primarie secondo me viene affrontata in modo troppo confuso: si vuole scimmiottare le primarie di altri paesi, soprattutto quelle degli USA, ma non c’entrano niente, il nostro sistema è tutto diverso. A parte che là le primarie sono regolamentate, vanno avanti per anni tra un’elezione e l’altra, c’è una selezione di personale… qui non c’è tutto questo. Vogliamo fare una legge sulle primarie? Ma non è una legge sulle primarie, dobbiamo fare una legge sui partiti, applicando l’articolo 49 della Costituzione, ma come si applica? Perché dice che i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, io non sono sottoposto a un’autorizzazione per associarmi e lo stato può solo censurare gli obiettivi politici che possono essere più o meno eversivi dell’ordinamento. Sono però cose complicate. Tra l’altro, l’articolo 49 dice “associarsi liberamente in partiti”, non dice certo che non devono essere più di due.

Dal vostro discorso, sembra che la Corte costituzionale abbia scoraggiato dei sistemi “misti”, che non dicano chiaramente se sono proporzionali o maggioritari…

Tani: E’ una lettura plausibile, secondo me. Siamo chiari, la Corte non dà indicazioni su un sistema e non ne scoraggia uno o un altro: la Consulta si è limitata a una sentenza “abrasiva”, ha tolto dalla legge quello che era incostituzionale, ha detto che certe norme sul premio e sulle liste bloccate erano incostituzionali, punto e basta. Non era compito della Corte dire se si doveva adottare un sistema maggioritario, proporzionale, misto… doveva solo dire se le norme oggetto della questione erano incostituzionali o meno. Oggi abbiamo una legge elettorale costituzionale, si può votare anche tra ventiquattr’ore volendo.

Bozzi: Venendo all’Italicum, il nostro dissenso non è su una o su un’altra legge elettorale, per dire quale sia migliore. Il problema è che una legge elettorale dev’essere costituzionalmente legittima, il Parlamento non può fare quello che vuole perché c’è una Costituzione: le leggi ordinarie devono essere costituzionalmente legittime, non ci sono santi, neanche la legge elettorale è sottratta al sindacato di costituzionalità. A questo punto, l’Italicum dev’essere comunque rispettoso della situazione e ora non lo è.

scheda elettorale

A questo proposito, uno dei punti più delicati era rappresentato dall’ammissibilità delle vostre questioni di costituzionalità, su cui non tutti erano disposti a scommettere. Vi è mai passato per la testa il pensiero che la Corte potesse decidere per l’inammissibilità?

Tani: Guardi, la Corte ha detto che la legge elettorale è una legge costituzionalmente necessaria, ma è pur sempre una legge ordinaria e come tale non può essere sottratta al sindacato di costituzionalità. Questo ha fatto, di fronte a una richiesta di un gruppo di cittadini che, davanti al giudice ordinario, aveva chiesto che fosse accertato il loro diritto di votare secondo Costituzione e che, qualora il diritto fosse stato leso dalla legge elettorale che è una legge ordinaria, la questione fosse sottoposta alla Consulta. Vede, la forza di questa sentenza è che ha messo il ceto politico e il legislatore in difficoltà perché sta rigorosamente nei limiti delle competenze della Corte: non è una sentenza additiva, che dice al legislatore cosa deve scegliere, ma si limita a togliere dall’ordinamento norme incostituzionali, nient’altro.

Almeno formalmente però la sentenza è additiva, visto che la formula del dispositivo sulle preferenze è “nella parte in cui esclude”…

E’ vero che motivazione e dispositivo sono un tutt’uno, ma anche la motivazione sulle preferenze non dice “devi mettere la preferenza”, ma dice che i candidati devono essere scelti dai cittadini. Poi i modi per sceglierli non riguarderanno la Corte, riguarderanno il legislatore, ma non si può sottrarre al cittadino il diritto di scegliere: è un voto libero e diretto, questo significa, sennò casca tutto.

Il sistema che ora la Corte ha delineato, che è molto simile a quello con cui si votò nel 1992 (con in più il “lacerto” delle soglie e delle coalizioni) vi piace, vi convince o c’è qualcosa di meglio?

Bozzi: Il fatto è che è nei limiti della Costituzione. Non è un problema di merito, se c’è una legge meglio di un’altra: quello è un discorso politico, che non ci interessa. Noi abbiamo solo il problema della costituzionalità della legge elettorale.

L’idea di tentare la via del ricorso per arrivare a una sentenza sul Porcellum è nata nel 2013 o prima delle ultime elezioni?

Abbiamo iniziato i primi atti nel 2008.

corte di Cassazione

Però i giudici che erano intervenuti prima della Cassazione non vi avevano dato retta. Perché?

Bozzi: Erano sentenze errate. La Cassazione ha imboccato la strada giusta…

Tani: … e ha rimediato agli errori dei gradi inferiori. Parliamoci chiaro: qui non c’era in gioco soltanto il diritto di 27 cittadini, la legge elettorale è una legge di sistema e c’era in gioco la democrazia. Non potevamo fermarci alla prima sentenza negativa o alla seconda.

Bozzi: … e non possiamo fermarci.

Ecco, a questo proposito: ora si apre uno scenario incerto, anche a causa dell’Italicum. Ora che la Consulta si è espressa, che farà la Cassazione della vostra domanda di accertamento del diritto di voto secondo Costituzione?

La sentenza della Consulta dice chiaramente che quella pronuncia non esauriva il petitum, la richiesta dell’azione che pendeva davanti alla Cassazione, per cui ora la causa va riassunta davanti alla Suprema Corte. Se da oggi fino alla decisione non sarà approvata nessuna legge, avremo una sentenza che dirà, con forza di giudicato, che noi in questi anni non abbiamo potuto votare secondo Costituzione e accerterà il diritto di questi “cittadini coraggiosi” a votare secondo Costituzione.

E se nel frattempo sarà approvato l’Italicum o un altro sistema?

In quel caso, si riaprirà il discorso.

Con il rischio che, con la velocità di Speedy Gonzales, la Corte costituzionale sia chiamata di nuovo a esprimersi?

Noi auspichiamo che tornerà a esprimersi. Porremo la questione, la Cassazione dovrà dire se la nuova legge elettorale presenta dubbi di costituzionalità e, nel caso, non potrà non interpellare di nuovo la Corte, visto che basta il dubbio di costituzionalità.

Il Parlamento dunque vi deve temere?

No, guardi, noi abbiamo fatto un’azione, abbiamo stappato la bottiglia quando sono arrivate prima l’ordinanza della Cassazione e poi la sentenza della Corte costituzionale, ma abbiamo solo difeso i nostri diritti. Nessuno di noi si monta la testa: sappiamo quali e quanti poteri forti di condizionamento e decisione il ceto politico ha, il pallino l’hanno in mano loro. Devono però sapere che ci sono questi cittadini che l’osso non lo mollano.

Troveranno pane per i loro denti?

Troveranno pane per i loro denti, questo sì.




L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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