L’Isis, la Siria e i rischi per Obama

Pubblicato il 24 Settembre 2014 alle 08:11 Autore: Antonio Scafati

Gli Usa hanno avviato operazioni militari contro l’Isis in Siria. Non più solo l’Iraq, dunque: anche il territorio di Damasco diventa teatro di lotta per gli Usa e per i paesi arabi che sostengono l’azione americana. Obama l’aveva detto alla vigilia dell’11 settembre: “Inseguiremo i terroristi ovunque siano”. Anche in Siria, dove però i rischi di impantanarsi sono tanti.

Nelle scorse ore sulla Siria è volata la seconda ondata di attacchi aerei. Sarebbero stati colpiti due obiettivi dell’Isis a sud-ovest di Raqqa. Nel mirino anche un obiettivo in Iraq.

I vertici militari americani non vogliono ricadere negli stessi errori commessi in Afghanistan: i talebani avevano nel Pakistan un approdo sicuro dove ritirarsi e riorganizzarsi. Per l’Isis la situazione è simile: lo Stato Islamico ha conquistato gran parte dell’Iraq settentrionale ma le sue roccaforti sono in Siria, sono lì le sue radici ed è lì che deve essere colpito, sostengono da tempo analisti e militari. Ma farlo dal cielo potrebbe non essere sufficiente. L’inizio dei bombardamenti ha segnato quella che per il Time è un’escalation senza alcuna garanzia di successo: “Bombardare i miliziani fermerà la loro avanzata ma non li eliminerà”.

I raid aerei spingeranno quasi certamente i jihadisti in Siria a spostarsi nelle cittadine, nei villaggi, in mezzo alla popolazione, scommettendo sul fatto che gli Usa e gli alleati arabi non procederanno con bombardamenti altrettanto duri sui centri abitati. Oltre al rischio di un alto prezzo in termini di vite umane, questo scenario potrebbe impedire il raggiungimento di successi significativi. La strategia di Obama finirebbe in una situazione di stallo.

Obama

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Sul Guardian, Simon Jenkins ha scritto che l’obiettivo immediato è chiaro: fermare l’avanzata dell’Isis in Iraq e in Siria. Meno chiaro è l’obiettivo sulla lunga distanza, come cioè gli Usa intendono evitare che nel giro di pochi anni ci si ritrovi di nuovo in una situazione di caos e violenza. È la stessa preoccupazione espressa dal New York Times attraverso un editoriale: “Non c’è un quadro completo – perché Obama non lo ha fornito – su come i bombardamenti danneggeranno i gruppi estremisti senza innescare conseguenze impreviste in una regione violenta e instabile”.

Il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha dichiarato che i raid “hanno avuto successo” ma sono “solo all’inizio”. Fonti siriane parlano di 120 jihadisti uccisi. La prima parte delle operazioni militari è stata condotta con raid aerei che hanno colpito obiettivi strategici come edifici, campi di addestramento, depositi. La seconda parte dei raid di solito è più complicata, ha sottolineato l’analista militare della CNN, Rick Francona: per essere condotta con efficacia necessita generalmente del supporto tecnico di personale a terra. Ma qui si apre uno dei capitoli più spinosi della strategia di Obama: chi opererà sul terreno.

Già qualche giorno fa i vertici militari americani avevano ipotizzato la necessità di portare sul terreno un piccolo numero di truppe americane mettendo a nudo frizioni con la Casa Bianca, che esclude l’invio di soldati americani. Ieri alla BBC l’ex premer britannico Tony Blair ha detto che “qualora si rendesse veramente necessario, non dovremmo escludere l’eventualità di utilizzare alcune forze speciali. L’esperienza ci insegna che se non ci si prepara adeguatamente a combattere contro questo tipo di soggetti sul terreno, si potrà riuscire sì a contenerli, ma non a sconfiggerli”.

Qualcosa di simile l’aveva scritto sul New York Times anche Ross Douthat, sottolineando che per sconfiggere l’Isis potrebbe non bastare l’impegno diretto di ribelli siriani armati dagli Usa. Il rischio per Washington è quello di dover intervenire energicamente (e più o meno direttamente) sullo scacchiere siriano.

Gli effetti dei primi raid aerei in Siria saranno analizzati passo passo dall’intelligence americana. In base ai risultati ottenuti si valuteranno i passi successivi. Al Congresso, il presidente Obama ha detto che per ora “non è possibile sapere quale sarà la durata” delle operazioni. Ma su questo nessuno si fa illusioni: ci vorrà del tempo.

Immagine in evidenza: photo by DVIDSHUBCC BY 2.0

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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