INTERVISTA Lombardi (M5S): “Soldi ai partiti? Ecco come i cittadini continueranno a pagare”

Pubblicato il 25 Febbraio 2014 alle 14:13 Autore: Gabriele Maestri
lombardi m5s non e detto che grillo vada a porta a porta

“Abolizione? Ma non è assolutamente vero!” Lo hanno scritto tutti i giornali e lo hanno detto in tutte le tv nei giorni scorsi che, con la conversione di un decreto, il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito, ma lei, Roberta Lombardi, deputata del MoVimento 5 Stelle, non ci sta e smentisce su tutta la linea. Al massimo i rubinetti si chiudono piano piano, in tre anni, mentre se ne aprono altri di finanziamento indiretto.

Non che il M5S sia direttamente interessato: quei soldi loro non li hanno voluti e hanno raccolto un gruzzoletto tra i militanti:  un po’ li hanno usati, un po’ li hanno messi da parte per le prossime campagne, un’altra parte è stata data in beneficenza. Parla di questo e dei rapporti coi “dissidenti” (cui la stampa darebbe troppa voce) la Lombardi e, già che c’è, torna pure sul tema dei collaboratori parlamentari e su quei primi mesi da capogruppo alla Camera, la stagione più burrascosa del rapporto tra media e i parlamentari stellati. Anzi, un assedio, secondo lei.

lombardi capogruppo m5s

Cittadina Lombardi, nei giorni scorsi i giornali hanno titolato «Abolito il finanziamento pubblico ai partiti», immagino lei mi possa rispondere: non è vero…

Esatto, non è assolutamente vero, non è stato abolito né il finanziamento diretto ai partiti, né tanto meno quello indiretto. Per quello diretto l’abolizione è graduale, per cui nei prossimi tre anni, compreso questo in corso, continueremo a pagare una quota percentuale via via decrescente dei 91 milioni di euro che al momento sono il tetto massimo di finanziamento diretto, cui peraltro si aggiunge una serie di voci introdotte proprio con questo decreto legge.

Quando parla di finanziamento diretto si riferisce ai rimborsi?

Mi riferisco a ciò che gli altri chiamano impropriamente «rimborsi»: a casa mia, da semplice cittadina, «rimborso» significa che io spendo qualcosa, produco un giustificativo e vengo rimborsata dell’importo speso, mentre nel mondo della politica «rimborso» significa che io spendo uno e la tasca dei cittadini mi dà cinque, più o meno… Questo per lo meno dopo l’ultima legge che aveva regolato il finanziamento diretto, nel 2012, riducendo il tetto da circa 198 milioni di euro ai 91 milioni di cui dicevo prima.

Che però non esauriscono i finanziamenti alla politica…

No, avvengono appunto anche attraverso una forma indiretta, che proprio questa legge ha introdotto, attraverso una serie di voci di spesa a carico dei cittadini. Penso ai 9 milioni di euro stanziati come contributo per le spese postali, di cui la fiscalità generale (cioè noi) si fa carico per consentire ai partiti di inviare materiale ai cittadini per dire: «Guarda., ti informo che da quest’anno puoi devolvere il 2 per mille delle tue imposte a me, partito Pinco Pallino». Altro contributo indiretto – la voce più cospicua – sono le detrazioni fiscali di cui godono le persone fisiche e giuridiche che effettuano una donazione nei confronti dei partiti: lo stato dunque si fa carico delle minori entrate dovute a queste detrazioni. Detrazioni la cui percentuale, tra l’altro, è molto più alta di quelle applicate per i figli, per le spese sanitarie o per le donazioni a una Onlus.

Quindi finanziare un partito conviene?

Sì, conviene, primo perché – soprattutto per le lobby – in questo modo i partiti fanno le leggi che vogliono loro e non quelle per i cittadini; secondariamente, comunque gli sgravi fiscali sono abbastanza alti.

finanziamento ai partiti

Morale, il finanziamento non è stato abolito. Voi del M5S però non ne fate solo una questione di verità, ma politica, visto che sul non usare soldi pubblici per fare politica avete sempre puntato, o sbaglio?

È così, anche perché abbiamo visto che fare politica con pochi soldi e ottenere buoni risultati è assolutamente possibile. Anzi, ancora di più, si va a corresponsabilizzare i cittadini su un progetto politico, per cui li avvicini ancora di più. perché dici: «Io sono disposto anche a effettuare una microdonazione, in base alla disponibilità della mia tasca, per il progetto politico che mi rappresenta, in cui mi identifico». Abbiamo fatto proprio delle collette durante le campagne elettorali finora e con quelle abbiamo pagato tutte le spese che abbiamo avuto in quel periodo: le spese del tour di Beppe in giro per l’Italia, materiali come volantini e manifesti, il palco per l’evento finale… tutte somme che abbiamo pagato e rendicontato; l’eccedente l’abbiamo devoluto in beneficenza oppure l’abbiamo accantonato per le spese della prossima campagna elettorale, ma verranno come sempre rendicontate al centesimo.

La colletta, una forma atipica di autofinanziamento…

Sì, diciamo che è la forma che ci permette di essere liberi. Non avendo grandi finanziatori che ci pagano la campagna elettorale, dobbiamo semplicemente rispondere ai cittadini, quindi essere coerenti con il programma elettorale per il quale loro ci votano e ci sostengono. Tra l’altro ciò ci ha spinti a essere molto virtuosi in campagna elettorale: non ricevi milioni di euro da scialacquare, ma comunque ricevi sostanziose cifre – noi l’anno scorso alle politiche abbiamo raccolto circa 700mila euro, una signora cifra – e noi siamo stati virtuosi e ne abbiamo risparmiata la metà, il resto lo abbiamo destinato alla ricostruzione della scuola di Mirandola distrutta dal terremoto.

A differenza vostra, i partiti più grandi e strutturati hanno dei dipendenti, che non vanno colpevolizzati solo perché il loro datore di lavoro è un partito o una struttura simile. Senza finanziamenti però questo difficilmente potrebbe mantenersi…

Allora, per quanto riguarda i dipendenti dei partiti bisogna dire due cose. Innanzitutto spesso – e lo stiamo scoprendo via via, conoscendo le realtà da vicino – alcuni dipendenti sono molto partecipi alla vita del partito, tanto che magari vengono poi candidate in elezioni a vari livelli, dai comuni fino alle politiche, quindi spesso si tratta di figure ibride tra il militante e il dipendente vero e proprio. Noi ovviamente non ce l’abbiamo con i dipendenti dei partiti, però lei capisce che ci disturba molto il fatto che, come è scritto in quest’ultima legge, i dipendenti dei partiti siano praticamente gli unici per i quali è in sostanza attivata una cassa integrazione in deroga a vita, in pratica l’unica categoria che goda di un reddito di cittadinanza, mentre tante altre categorie di lavoratori non vengono assolutamente tutelati nella stessa maniera… non possono esserci lavoratori di serie A e di serie B. Poi per carità, se decidi di darti una forma strutturata con sedi e presenze fisse, devi anche renderti conto se stai facendo il passo più lungo della gamba, è questione di buon senso: non puoi andare a comprare immobili, costruire segreterie piene di dipendenti, pensando che tanto ci sarà sempre la tasca dei cittadini che ti finanzia. Se tu riesci a organizzare ogni anno la raccolta di migliaia, milioni di euro, allora avrai modo di investire in una certa maniera, ma non si può contare sempre su mammà che apre il portafogli e ti dà la paghetta…

Lusi lombardi

Eppure la legge del 2012 di cui parlava prima, quella che ha ridotto i finanziamenti dopo gli scandali Lusi e Belsito e i vostri inviti a ridurre le risorse, più che morigerare la politica ha avuto l’effetto di lasciare a casa parte del personale dei partiti, parzialmente riassorbito nelle segreterie di parlamentari, ministri e sottosegretari, a scapito di giovani che avevano le competenze per ricoprire quei ruoli. Probabilmente non era nell’intenzione di chi chiedeva i tagli…

Assolutamente no, ma figuriamoci… anche qui una persona meritevole sarebbe giusta ed essenziale: i costituzionalisti, per dire, a un partito che deve scrivere proposte di legge servirebbero come il pane, visto che, tra l’altro, quando legiferano dopo qualche anno arriva la Corte costituzionale che dice «Ma come diavolo l’avete scritta questa legge?» Magari invece premiano più il servitore fedele della persona competente…

Però, chiedendo conto agli apparati dei partiti delle conseguenze del taglio dei finanziamenti, si ci sente rispondere: «Non possiamo lasciare queste persone in mezzo a una strada». Probabilmente è per questo che il taglio al finanziamento diretto è graduale…

Ma in effetti nessuno di noi voleva che quelle persone finissero in mezzo a una strada dall’oggi al domani: avevamo proposto una cassa integrazione come ce l’hanno tutti i lavoratori, quindi al massimo due anni, e non quella cassa a vita di cui dicevo prima.

Poi c’è l’aspetto dei soldi che i gruppi ricevono per i collaboratori parlamentari, che sono comunque una sorta di finanziamento. Cosa secondo voi va bene e cosa invece va cambiato?

Se per collaboratori lei intende quelli dei gruppi, si ricorderà che a inizio legislatura noi denunciammo l’esistenza di due elenchi di persone che di fatto delineavano categorie di persone in qualche modo protette. Anche qui occorre intendersi: ha senso che ci siano liste di persone con un canale preferenziale per l’assunzione a inizio legislatura perché sono lì da tanti anni, hanno maturato una seniority nel ruolo e soprattutto hanno un’esperienza che è obiettivamente utile per un gruppo parlamentare che ha bisogno di mettere in piedi una struttura fissa e ha bisogno di sapere come si scrive una legge, un emendamento o un altro atto. Se però si va a vedere quelle liste, si trovano all’interno anche persone che – caso strano – sono state sottosegretari in un governo, hanno lavorato come autisti per un politico, oppure ne erano l’amante o il portaborse… Avevamo anche fatto nomi e cognomi…

Tipo Gianfranco Polillo?

Pensi che lo vedo che bazzica ancora in giro per la Camera, prima o poi lo fermerò e gli chiederò: «Scusi, egregio signor Polillo, ma lei qui che ce sta a ‘ffà?».

camera lombardi

A parte loro, però, penso al classico assistente parlamentare, che volgarmente viene chiamato “portaborse” ma è offensivo, chi ha quel ruolo fa tutto meno che quello. Anche all’interno del M5S, peraltro, era scoppiato qualche caso di assunzione fin troppo fiduciaria e poco “tecnica”…

Guardi, quello che ho visto io è che l’attività parlamentare è organizzata in maniera folle come orari, carichi e ritmi di lavoro – una cosa secondo me fatta ad arte, per creare il massimo della confusione e produrre leggi peggiori – e per sopravvivere c’è bisogno davvero di una persona con cui si ha un rapporto di fiducia. Spesso infatti le si danno le proprie credenziali bancarie o l’accesso all’e-mail personale o ai social network; in più dovrebbe essere una persona che ha competenze tecniche, dando una veste coerente agli atti che si devono preparare. Personalmente per la parte legislativa mi affido a un’avvocata.

I vostri collaboratori tendenzialmente sono legati al M5S?

I collaboratori personali sono una scelta e una responsabilità personale del singolo parlamentare. Alcuni hanno preso con sé persone che hanno conosciuto durante l’attività di questi anni, anche perché spesso sono i collaboratori a gestire i nostri account sui social network, per cui occorre una persona che abbia la sensibilità per scrivere a nostro nome qualcosa che sia nello stile del MoVimento 5 Stelle. Se io dovessi prendere una persona che non è all’interno del MoVimento, dovrei trasmetterle ogni volta l’esatto contenuto di quello che voglio dire… quindi spesso c’è stata la necessità di avere al nostro fianco persone di questo tipo. Ammetto che ho sorriso quando sono usciti degli articoli in cui ci si stupiva del fatto che madre e figlio fossero stati eletti ognuno in un ramo del Parlamento.

Come mai?

Vede, fino a circa un anno fa molti di noi erano una sorta di “pionieri visionari” che mettevano fortissima passione nel MoVimento e la condividevano spesso con la famiglia e gli amici più stretti, per cui era piuttosto normale che, venendo proiettati in questo delirio che è la vita parlamentare, magari… Diciamo che vere “Parentopoli” non ci sono state: a parte che l’assunzione dei parenti stretti è vietata per legge, capitava però che in qualche caso persone con cui fino a pochi giorni prima si era condivisa l’attività ai banchetti e in altre iniziative fossero la scelta naturale, ecco.

Anche per i collaboratori vale l’autoriduzione del compenso come fate voi parlamentari?

Come da codice etico che noi parlamentari abbiamo sottoscritto, nessun collaboratore assunto da noi personalmente o come gruppo avrebbe ricevuto più di 5mila euro lordi al mese, che è il nostro tetto per l’indennità. Viste poi le somme che ciascuno di noi riceve per l’esercizio del mandato, che sono 3690 euro al mese, gli stipendi dei collaboratori possono andare dai 1500-2000 euro al mese, più le varie tasse che vanno pagate. Sono dunque stipendi normali, non sono sottoposti ad “autoriduzione”; siamo noi che diciamo «il massimo che possiamo dare è questo». I nostri collaboratori, comunque, sono tutti in regola e vengono pagati.

renzi grillo per formazione governo renzi

Lei è stata la prima persona, insieme a Vito Crimi, a prendere parte alle consultazioni in streaming con Pierluigi Bersani. Fosse stata pochi giorni fa all’incontro di Beppe Grillo con Renzi avrebbe agito come lui o avrebbe seguito una linea diversa?

Beh, agire nello stesso modo di Beppe Grillo significherebbe essere Beppe Grillo e questo non è possibile (ride), probabilmente non avrebbe mai potuto dire «Mi è sembrato di essere davanti a una puntata di Ballarò»… Ognuno ha il suo stile comunicativo più o meno comprensibile o condivisibile. Quello che invece era forte come messaggio e poi è stato esplicitato dallo “stile Grillo” è stato l’incomunicabilità tra noi cittadini e questa classe politica: che Renzi venga spacciato da tutti i media come “il nuovo” a me da sorridere, francamente, guardando anche il suo curriculum, che nel partito ha vissuto per tutti questi anni. A un certo punto Beppe nel suo stile ha davvero stigmatizzato l’incomunicabilità tra due mondi, quello delle persone reali e quello della politica. Poi sì, l’ha fatto nel suo stile dirompente, anche mordace e pieno di humor anche feroce a volte… ma è Beppe, è sempre stato così, d’altronde anche chi se lo ricorda quando faceva solo il comico riconoscerà che lo stile graffiante era quello.

Quell’evento però ha creato reazioni al vostro interno: tra i parlamentari c’è chi ha parlato di un’occasione persa per chiedere e ottenere spiegazioni pubbliche da Renzi su certi temi. Si ritrova un minimo nel disappunto di questi colleghi o crede abbiano sbagliato loro?

Mi domando come possano esserci persone all’interno del nostro MoVimento che, dopo undici mesi di lavoro quotidiano, fianco a fianco, con i partiti, pur avendo visto che da parte loro c’è disco rosso per ogni proposta che venga dal M5S, fosse anche la più condivisibile del mondo, possano ancora fare delle aperture di credito. In tutto ciò però – e mi spiace dirlo – inizio a vedere quasi una volontà di alcune persone di andare a coprire qualunque genere di notizia del M5S: nel nostro “Restitution day” qualcuno ha dovuto fare un’intervista cui i media hanno dato molto più credito… Dei parlamentari che restituiscono una parte consistente del loro stipendio e la danno a un fondo per la piccola e media impresa per me è la notizia del giorno, invece magari si dà più credito a chi si lamenta perché quello stesso denaro poteva essere impiegato diversamente. Ogni volta che facciamo qualcosa di bello e forte, c’è sempre la copertura mediatica di qualcuna di queste voci e uno un dubbio se lo pone: «Ma tu sei ancora convinto di dover rimanere nel MoVimento 5 Stelle? Fatti questa domanda». Devo anche dire che la maggior parte di queste persone sta venendo sfiduciata dai loro territori di provenienza: nei giorni scorsi è toccato a Orellana, prima era toccato a Campanella. È la Rete che sta reagendo e, a un certo punto, chiede a loro: «Ma voi siete o no i nostri portavoce? Che volete fare di questo mandato parlamentare che vi è stato affidato?»

orellana

Nel vostro rapporto con i media, che evidentemente non eravate preparati a gestire, c’è stata qualche mossa che col senno di poi andava fatta in modo diverso? È innegabile che una certa immagine antipatizzante l’abbiate creata all’inizio della vostra esperienza alle Camere…

Non era certamente voluto, poi io sono stata presentata da molte parti praticamente come una stronza fotonica… (ride amaramente). L’errore grosso che è stato compiuto da tutti è stato non pensare che avremmo suscitato una curiosità tale, come fenomeno, da subire un vero e proprio assedio mediatico. Avevamo sottovalutato questo aspetto e non ci siamo dotati di una struttura di comunicazione che ci aiutasse a parlare con voi giornalisti. Anche io e Vito, in qualche modo, ci appoggiavamo a dei volontari con cui avevamo collaborato alle campagne delle politiche e delle regionali. C’è anche una componente emotiva, penso sempre a noi due: eravamo e siamo (per fortuna) due persone normalissime che dall’oggi al domani si sono ritrovati tutti, dico tutti i riflettori puntati addosso in maniera morbosa. Ricordo che facevamo delle riunioni e trovavamo i giornalisti che erano arrivati fin lì e stavano con l’orecchio attaccato alla porta; quando poi la tensione è un po’ calata e abbiamo iniziato a confrontarci con queste persone, loro ci hanno spiegato che nessuno come noi in quel momento suscitava la curiosità delle persone e facevamo “vendere”. Lei sa su cos’era la prima agenzia uscita su di me?

No, dica.

Parlava di me che ero entrata al bar del Transatlantico e avevo chiesto, per curiosità e gusto personale, se il prosciutto nei panini che vedevo era tagliato a mano… e me lo sono trovato sull’agenzia. La seconda raccontava che bevevo alla fontanella che sta vicino alla palazzotta di Montecitorio, perché non mi andava di prendere il bicchiere di plastica. Lei capisce che, quando uno legge queste notizie su di sé, sia normale restare un po’ perplessi…

Diciamo che in quel periodo i rapporti con la stampa non erano facili, ma non avete gettato acqua sul fuoco, proprio no…

No (ride), è stata una spirale autoalimentata: da una parte c’era il nostro terrore nell’essere sotto questo assedio, cosa che ti fa irrigidire sulle tue posizioni; dall’altra più tu ti irrigidisci, più voi vi incarognite… (ride) Poi per fortuna hanno iniziato ad arrivare anche persone che per lavoro si occupano di comunicazione e fanno in qualche modo da filtro tra la vostra esigenza di fare informazione o gossip a seconda dei casi e noi che dobbiamo comunque sopravvivere e fare un lavoro che non è tra i più semplici sulla faccia della terra.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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