Una riflessione sulle primarie
[ad]I problemi delle primarie, come descritto, possono avere un’origine esogena rispetto alla platea dell’area politica chiamata al voto, attraverso l’intromissione di votanti estranei, oppure endogena, attraverso un utilizzo distorto dello strumento da parte delle dirigenze dei partiti. I due problemi hanno soluzioni diametralmente opposte e inconciliabili, l’una verso il controllo e la chiusura, l’altra verso l’apertura all’esterno.
Ciò che appare paradossale, ad oggi in Italia, è che i rischi provenienti dalla partecipazione esterna appaiono di gran lunga inferiori come portata a quelli che genererebbe una chiusura delle partecipazioni. I danni di immagine per il PD e per il centrosinistra sarebbero incalcolabili, e lo stesso strumento delle primarie si svuoterebbe di qualsiasi significato, per diventare un mero rituale senza alcun valore pratico, utile solo a misurare quale tra i tanti capi e capetti abbia il maggior seguito all’interno di un mondo sempre più chiuso in sé stesso, in lento ma ineluttabile disfacimento.
Se il prezzo per evitare questo lugubre scenario è un Ferrandelli scelto con l’apporto decisivo dei sostenitori di Lombardo, ben venga Ferrandelli. Ma prima di regolamentare le primarie restringendone i criteri di partecipazione, serve una prova di maturità che il mondo partitico italiano è ben lungi dal dimostrare.