Nel caos della Libia, quarta parte: lo scenario politico

Pubblicato il 8 Agosto 2014 alle 12:30 Autore: Mediterranean Affairs

(In collaborazione con Mediterranean Affairs)

« La Libia è a un bivio del suo processo di transizione: da un lato ci sono la democrazia, che può affermarsi grazie alle prossime elezioni parlamentari e alla redazione di una nuova Carta costituzionale, e un futuro stabile grazie anche a immense risorse naturali; dall’altro una conflittualità diffusa e prolungata che aumenterebbe sofferenze, migrazioni e violazioni dei diritti umani. »

(Federica Mogherini, ministro degli Affari Esteri dell’Italia, 19 maggio 2014)


La nuova Libia uscita dalla guerra del 2011 è ancora alla ricerca di un equilibrio politico e attraversa una fase d’incertezza e instabilità che non accenna ad appianarsi. Mentre nel resto del Paese libico proseguono gli scontri e le violenze fra le varie milizie rivali, la città di Tobruk è stata considerata così sicura da essere scelta come sede della riunione della ‘Camera dei Rappresentanti’. Si tratta della nuova assemblea parlamentare della Libia, che subentra al “Congresso Nazionale Generale” (CNG), che era stato istituito proprio due anni fa (9 agosto 2012) per sostituire il ‘Consiglio Nazionale di Transizione’ (CNT).

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Il CNG, costituito durante la rivoluzione libica del 2011, era composto di 31 membri: i suoi principali compiti erano proseguire le azioni della rivoluzione fino alla liberazione del Paese e, in seguito, organizzare libere elezioni e redigere una nuova costituzione. Le prime elezioni si svolsero pacificamente il 7 luglio 2012 e permisero la nomina di 200 membri del CNG. Il CNG era composto di 100 membri eletti in Tripolitania, 60 in Cirenaica e 40 in Fezzan; il principale compito nominare il governo libico, minato dalle milizie armate e dai vari gruppi radicali locali. Secondo i dati ufficiali dell’Alta Commissione Elettorale Nazionale, il partito liberale Alleanza delle Forze Nazionali guidato da Mahmoud Jibril aveva conquistato il 48,1%, guadagnando 39 seggi, mentre il partito islamico Costruzione & Giustizia aveva ottenuto il 10,3%, quindi 17 seggi. Seguivano poi tutti gli altri partiti politici, in particolare il Fronte Nazionale, l’Alleanza Wadi al-Hiya, l’Unione per la Patria e il Partito Nazionale di Centro.

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Photo by MagharebiaCC BY 2.0

Al termine delle elezioni, è emersa la figura di Ali Zeidan: fra gli oppositori del regime di Muammar Gheddafi, Zeidan ha trascorso quasi 30 anni in esilio in Svizzera, rientrando in Libia finalmente in occasione dello scoppio della rivoluzione del 2011. Subito dopo è stato nominato rappresentante in Europa del CNT, che è stato il governo ad interim della nuova Libia, influenzando abbastanza il governo francese a sostenere le forze libiche ribelli. Persa l’elezione per la presidenza del CNG contro Mohammed Magariaf, Zeidan è stato nominato come Primo ministro dal CNG nel novembre 2012 in seguito ai tentativi falliti dell’ex premier Mustafa Abushagur di formare un governo. A distanza di quasi un anno, il 10 ottobre 2013 è stato vittima di un ‘sequestro-lampo’ da parte di uomini armati, a pochi giorni di distanza dal raid delle forze speciali degli Stati Uniti che ha portato alla cattura di uno dei più importanti leader di Al Qaeda, Abu Anas al-Libi, considerato la mente delle stragi di Nairobi e Dar es Salam del 1998.

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Il governo di Ali Zeidan si è dimostrato complessivamente debole e, in quanto tale, incapace di attuare un saldo controllo del territorio, non reggendo il peggioramento della crisi in Cirenaica, dove le forze ribelli hanno occupato per mesi i principali porti di esportazione del greggio, bloccandone ogni attività. La sua esperienza alla guida del governo libico, quindi, si è conclusa pochi mesi dopo, quando una petroliera (con bandiera nordcoreana) è riuscita a portare via oltre 200.000 barili di petrolio greggio dal porto di al-Sidra, nell’area di Ras Lanuf. L’avvenimento è stato considerato come un’umiliazione per la Libia intera da parte dei politici libici, e l’11 marzo 2014 il CNG ha approvato una mozione di sfiducia contro di lui facendolo, di fatto, decadere con 124 voti su 194.

Al suo posto è stato nominato ad interim il ministro della Difesa, Abdullah al-Thani. Il governo di al-Thani, però, è durato circa un mese, dimettendosi il 13 aprile 2014 ed è stato nominato al suo posto Ahmed Omar Maitik. Nel frattempo, Khalifa Haftar, tenente generale dell’esercito libico, a capo della brigata ‘Al Saiqa’ ha lanciato l’Operazione Dignità contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica. Haftar ha provato a sospenderne i lavori parlamentari, a seguito di un attacco realizzato da suoi soldati sostenitori, e ha accusato sia al-Thani sia Maitik di essere troppo vicini alle forze islamiste.

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La sua nomina è avvenuta in circostanze controverse, risolte dalla sentenza della Corte Suprema della Libia. Il 9 giugno 2014, la Corte Suprema della Libia ha annunciato che la nomina di Maitik fosse illegale e, di conseguenza, al-Thani fosse il Primo ministro legittimo del Paese. Conseguentemente, Maitik si è dimesso e al-Thani ha ripreso il proprio precedente incarico, con il compito di guidare il Paese alle elezioni politiche dello scorso 25 giugno per la nomina dei 200 membri della nuova assemblea parlamentare, la ‘Camera dei Rappresentanti’, che avrà sede a Bengasi. In occasione delle elezioni del 25 giugno, i 200 seggi sono stati assegnati in tre diversi metodi: 40 seggi sono assegnati con il sistema maggioritario uninominale, 80 sono stati eletti con sistema proporzionale e, infine, gli altri 80 seggi in base al voto singolo non trasferibile in 29 circoscrizioni plurinominali. Sono stati 1714 i candidati e, secondo la legge elettorale, la possibilità di candidarsi è esclusivamente da ‘indipendenti’, e non come membri di una lista. Inoltre, 32 dei 200 seggi complessivi sono stati riservati alle donne.

Le elezioni avrebbero dovuto rappresentare l’avvio di una fase volta alla stabilizzazione della Libia che, dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi, non è stata ancora avviata verso una possibile instaurazione di un dialogo nazionale, soprattutto per costruire il consenso per la stesura di una nuova costituzione che si terrà entro la fine del 2014.

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Invece, l’affluenza alle urne è stata bassa: secondo quanto comunicato dall’Alta Commissione Elettorale Nazionale, ha votato quasi il 45% dei libici aventi diritto al voto. Nessun voto a Derna, dove si è verificata una campagna di attentati e omicidi da parte di gruppi islamici radicali locali, mentre altri seggi elettorali sono stati chiusi a Kufra e Sebha per motivi di sicurezza. Ci sono stati diversi casi di violenza nel giorno delle elezioni, con almeno 5 morti e 30 feriti negli scontri tra forze governative e le milizie ribelli di Bengasi.

Il 22 luglio 2014, sono stati assegnati 188 seggi, mentre i restanti 12 non sono stati assegnati per irregolarità manifeste ravvisate dall’Alta Commissione Elettorale Nazionale in alcune circoscrizioni. La distribuzione dei seggi parlamentari della nuova assemblea (25 deputati sono espressione della regione del Fezzan, 60 della Cirenaica e 103 della Tripolitania) è a favore delle forze moderate e liberali, che sono intenzionate a cancellare la breve stagione dell’islamismo integralista che ha governato il Paese.

L’assemblea parlamentare libica si è riunita per la prima sessione ufficiale dalle elezioni del 25 giugno, dopo la riunione d’emergenza dedicata alla situazione della sicurezza nel Paese a seguito delle violenze a Tripoli e Bengasi. Durante la prima seduta, boicottata dagli islamisti, è stato eletto anche il presidente della ‘Camera dei Rappresentanti’: si tratta di Ageela Salah Issa Gwaider, avvocato e magistrato in Cirenaica, eletto dopo aver ottenuto al ballottaggio 77 voti contro i 74 dell’altro candidato, Abubakr Bahira.

La ‘Camera dei Rappresentanti’, che subentra al CNG, si sarebbe dovuta riunire a Bengasi, ma la seduta è stata spostata Tobruk per motivi di sicurezza: i recenti scontri a Bengasi e Tripoli tra milizie rivali hanno fatto oltre 200 morti, costringendo migliaia di persone alla fuga dalla Libia e molti Paesi a chiudere le proprie rappresentanze diplomatiche. Nonostante ciò, l’intera comunità internazionale si augura che le elezioni, congiuntamente all’avvio del processo di redazione della costituzione, possano segnare una svolta verso la democratizzazione e la riconciliazione nazionale.

L’elezione dell’Assemblea Costituente, avvenuta nel febbraio 2014, potrebbe costituire un primo passo verso una maggiore stabilità. Composta di 60 membri, essa si riunisce a Beida, in Cirenaica, e ha tre mesi di tempo per redigere la costituzione. Sarà necessario attendere la stesura e l’approvazione della nuova costituzione e i risultati elettorali prima che il governo si possa avvalere di un assetto solido e di prospettive di più lungo termine.

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Uno scenario simile è improbabile che possa realizzarsi prima della fine dell’anno a causa della difficile situazione ambientale che sta indebolendo le istituzioni libiche, come le tendenze indipendentiste regionali che potrebbero spaccare il Paese: infatti, le regioni della Cirenaica e del Fezzan sono state proclamate indipendenti dai rappresentanti delle rispettive tribù locali. Inoltre, i gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno di recente proclamato un emirato islamico: fra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia, accusati dell’attacco dell’11 settembre 2012 contro il consolato degli Stati Uniti durante il quale morì l’ambasciatore statunitense Chris Stevens.

Una situazione simile contribuisce a indebolire la legittimità delle autorità libiche, costrette a intervenire in fretta per affrontare i numerosi problemi riguardanti il processo di ricostruzione postbellica. Il principale compito è quello di ristabilire lo stato di diritto riconquistando il pieno controllo territoriale: è necessario smantellare le milizie illegali e dei gruppi islamisti presenti nel Paese, che rappresentano un rischio per la stabilità del governo, la sicurezza dei cittadini e, soprattutto, per l’economia.

Secondo il centro di ricerca “Rafik Hariri Center for the Middle East” del think tank statunitense “Atlantic Council”, le autorità libiche dovranno porsi i tre seguenti obiettivi per favorire lo sviluppo dell’economia del Paese:

  1. Diversificare l’economia attraverso l’espansione del settore privato non legato all’industria petrolifera: si tratta di un obiettivo irraggiungibile nella maggior parte dei Paesi produttori di petrolio. Nel caso libico, il focus dovrebbe essere quello di sviluppare i servizi e il turismo ma, affinché ciò accada, sarà necessario realizzare profondi cambiamenti soprattutto a livello giuridico.
  2. Ridurre la disoccupazione giovanile: bisognerà aumentare il livello d’istruzione e di formazione professionale affinché i giovani libici possano soddisfare le esigenze del settore privato. Insomma, è necessario mutare la cultura del lavoro in Libia, dove l’ottenimento di un posto di lavoro nel settore pubblico è considerato un diritto.
  3. Sviluppare un sistema finanziario moderno: si tratta di un obiettivo indispensabile per sostenere il settore privato e fornire credito alle piccole e medie imprese, permettendo di espandersi e creare posti di lavoro. Inoltre, le riforme finanziarie dovrebbero introdurre una nuova privatizzazione delle banche, riducendo il ruolo della proprietà statale negli enti creditizi specializzati così da permettere l’ingresso di banche straniere.

 Giacomo Morabito
(Mediterranean Affairs – CEO and Founder)

Immagine in evidenza: photo by Thierry HermannCC BY 2.0

L'autore: Mediterranean Affairs

Mediterranean Affairs è un centro di ricerca che mira a fornire analisi riguardanti l’area mediterranea. Svolgendo approfondite ricerche, lo staff affronta le varie tematiche di politica internazionale incentrate sulla difesa e la sicurezza, la stabilità regionale, e le sfide transnazionali come l’integrazione economica.
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